La grande famiglia del fantasy, a partire dagli anni del secolo scorso, è cresciuta notevolmente, acquisendo nuovi membri illustri e facendosi riconoscere da un vasto pubblico di lettori. All’interno di questo fantastico albero genealogico, un nobile antenato e capostipite spicca per l’insolita posizione che gli è stata attribuita. Se volessimo riunire alla tavola di un ideale convivio i grandi nomi del fantasy, tra J.R.R. Tolkien e C.S. Lewis, J.K. Rowling e Ursula K. Le Guin, dovremmo riservare un posto d’onore a Lord Dunsany: i suoi racconti e i suoi romanzi, scritti all’inizio del novecento, sono stati tra i primi esempi di letteratura fantasy e dovrebbero confermarlo nel suo ruolo di progenitore. Invece, in queste “riunioni di famiglia” che hanno idealmente luogo quando si discute del nostro genere letterario, Lord Dunsany pare essere sistematicamente trascurato, menzionato di sfuggita e messo da parte. Nell’albero genealogico del fantasy egli occupa il posto del lontano “zio d’America”, o in questo caso dello “zio d’Irlanda”: una figura un po’ bizzarra e originale, di cui si ha un certo ricordo ma con cui non si ha mai fatto personalmente conoscenza.
Il successo del fantasy, dalla letteratura al cinema e alla televisione, ai giochi e ai fumetti, è visibile e duraturo. Questo genere, per come oggi è inteso, deve molto all’opera di J.R.R. Tolkien. The Hobbit e The Lord of the Rings hanno creato un modello per futuri scrittori (da proseguire o da confutare) e hanno stabilito nell’immaginario collettivo alcuni dei principali canoni della letteratura fantasy per quanto riguarda l’ambientazione, i personaggi e le trame. È in gran parte merito di Tolkien se il fantasy è diventato un genere riconoscibile e facilmente il suo nome è il primo che viene associato, anche dai profani, alle imprese eroiche di elfi, nani e orchi sullo sfondo di un’antichità leggendaria e intrisa di magia. Al contrario, il nome di Edward John Moreton Drax Plunkett, diciottesimo barone di Dunsany, nato nel 1878 e morto nel 1957, non dice niente alla maggior parte dei lettori, spesso nemmeno agli appassionati del fantasy. Della sua grande, variegata produzione letteraria, ben poco è disponibile in traduzione italiana; anche nelle opere critiche sul fantasy gli si dedica talvolta solo una breve menzione. È grazie a una di queste fugaci apparizioni che io stesso mi sono imbattuto per caso nel nome di Lord Dunsany.
Eppure, nonostante la scarsa attenzione riservata alle sue opere, quando Lord Dunsany viene menzionato, invariabilmente è per ricordare il suo ruolo pionieristico di precursore di una letteratura con caratteri tipicamente fantasy; un ruolo che d’altronde gli fu riconosciuto pienamente da successivi e ben più celebri autori del fantastico quali Ursula K. Le Guin e H.P. Lovecraft, i quali lo indicarono come uno dei maestri insuperabili dello stile e dell’immaginazione. Nel 1905, circa trent’anni prima della pubblicazione dello Hobbit e quasi cinquant’anni prima del Signore degli Anelli, quando il fantasy ancora non si era cristallizzato nelle forme a noi note, la penna di Dunsany (una vera penna d’oca intinta nell’inchiostro) dava vita a The Gods of Pegāna, gli dei di Pegāna: una meravigliosa schiera di divinità, profeti, esseri e terre fantastiche raccontati in una prosa poetica che mescolava la solennità biblica, il fascino della classicità e il mistero del vicino e dell’estremo oriente. L’autore era un giovane barone anglo-irlandese di ventisette anni. Tornato dalla guerra boera, aveva tentato senza successo e senza interesse la carriera politica e solo l’anno precedente aveva sposato Lady Beatrice Child Villiers. Quella prima, strana raccolta di miti inventati, scritta quasi per diletto e pubblicata a spese dell’autore, sarebbe stata l’inizio di una prolifica serie di universi e storie fantastiche.
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