Se da un lato l’immaginazione è una fuga dalle banalità della vita verso le meraviglie dell’invisibile, d’altra parte è proprio la bellezza del nostro mondo a fungere da punto di partenza. Lord Dunsany si sofferma sempre sul confine invisibile e permeabile tra reale e fantastico: egli è ben cosciente delle differenze tra le sue storie e la vita, ma è in grado di cogliere la bellezza in entrambe le dimensioni. Anche nei più remoti regni fantastici il nostro mondo non è mai dimenticato. Non è raro che nelle sue storie le città immaginarie, situate in nessun luogo, siano visitate da personaggi che possono avere un corrispettivo in carne e ossa nella realtà, nei molti viaggiatori europei o nello stesso Dunsany. In alcuni racconti la vera fonte di meraviglia è la bellezza della natura, come accade in Poltarnees, Beholder of Ocean (A Dreamer’s Tales, 1910). Le Terre Interne che ci vengono descritte in questa storia possono apparire a noi favolose, quasi utopiche, ma per i loro abitanti il vero mistero, l’Altro, risiede in uno spettacolo a noi familiare: il mare, che nessuno in quelle terre ha mai visto.
Il rapporto tra realtà e fantastico è reciproco, la prima può fare irruzione nel secondo e viceversa. Così può accadere che, dietro i dettagli più insignificanti e banali delle nostre città e paesi, si scoprano portali che aprono all’ignoto. A Londra e Parigi si possono trovare le dimore di maghi, negozi in cui sottoscrivere contratti soprannaturali, botteghe da cui ladri incredibili riforniscono i gioiellieri e antiquari delle merci più impensabili, recuperate da terre ai confini del nostro mondo, o addirittura oltre. Un treno della Victoria Station ci può portare in luoghi poco frequentati, là dove pozzi misteriosi si aprono sull’orlo del mondo. Persino alcuni oggetti abbandonati in un angolo della città – un tappo di sughero, una teiera, un fiammifero e una corda dietro un muro di mattoni rossi – possono animarsi per raccontare storie entusiasmanti o terribili, e un vecchio cavallo a dondolo può rivelare con commovente orgoglio di essere stato l’eroico Blagdaross (il racconto omonimo, raccolto in A Dreamer’s Tales, 1910, sembra quasi un brevissimo Toy Story ante litteram).
È la voce ironica del narratore a dare risalto a questo equilibrio precario, alla fragilità della visione fantastica. Molto spesso Dunsany sembra fermarsi per osservare da lontano le sue stesse creazioni, i suoi mondi e dei, come volesse sorriderne. Questo atteggiamento, particolarmente evidente nelle ultime opere, compare sin dagli inizi, in The Gods of Pegāna per esempio, laddove Dunsany descrive i ben poco temibili dei del fumo, della polvere e delle cose rotte. E’ questa una dimensione che non piacque a Tolkien e Lovecraft. E non stupisce la loro irritazione per la piega autoironica delle ultime produzioni fantasy di Dunsany, evidente per esempio nel finale di The Distressing Tale of Thangobrind the Jeweller, and of the Doom that Befell Him (The Book of Wonder, 1912). Qui una principessa scampata a un’orribile destino decide di ritirarsi a vita privata in una residenza chiamata “English Riviera”, dove passerà il resto dei suoi noiosi giorni tra centrini ricamati con frasi banali: niente di meglio per distruggere la “Credenza Secondaria”, strappare il lettore dalle meraviglie del racconto e riportarlo alle inezie della quotidianità!
Sembra però che un aspetto importante dell’autoironia dunsaniana sia stato trascurato. Sorridendo dei propri racconti fantastici l’autore ci spinge a riflettere su di essi. Egli ci dimostra la fragilità delle sue costruzioni narrative, basate sul potere della parola, ma al contempo dimostra il potere della parola stessa, capace di creare intorno a noi visioni così vivide e coinvolgenti. Dunsany ammette di essere un autore dell’immaginazione, svela gli ingranaggi della sua macchina fantastica, senza per questo comprometterne il funzionamento. Come la preziosità di un tessuto deriva anche dalla sua trama fine, così l’evanescenza delle creazioni fantastiche, che una semplice considerazione ironica può far svanire, è la caratteristica che aumenta il loro pregio. Il giudizio di Lord Dunsany infine è equanime, la sua spada a doppio taglio. L’ironia non ricade solo sul mondo fantastico, ma anche sulla realtà, della quale Dunsany mette in dubbio il significato inducendo a domandarci quale sia il peso che le diamo, se in essa sappiamo distinguere ciò che veramente conta dalla banalità. Le due dimensioni, realtà e fantastico, arrivano ad essere entrambe valide alternative per il sognatore, entrambe apprezzabili per le loro bellezze uniche.
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