Amelia è una mamma single che non ha mai dimenticato il marito morto in un incidente stradale lo stesso giorno in cui è nato suo figlio Samuel. Le è sempre più difficile tirare avanti anche perché il bambino è molto irrequieto, ha difficoltà a socializzare e pare ossessionato dall’arrivo di un mostro terribile. Ogni sera Amalia per farlo addormentare gli legge un libro ma, un giorno, spunta fuori dal nulla uno strano volume dal titolo Babadook dove si legge di un mostro spaventoso che non si placa finché non uccide. Samuel rimane molto turbato dal racconto e i suoi problemi sembrano addirittura aumentare mentre Amelia, sempre più esausta ed esasperata dal figlio, comincia a credere che qualcosa di sinistro stia accadendo davvero intorno a lei.
Dimenticate i classici film dell’orrore con il mostro dentro all’armadio, Babadook dell’esordiente regista australiana Jennifer Kent, parla di cose ben più terrificanti.
Non è un caso infatti che l’etichetta Midnight Factory, nata per proporre in Italia il meglio della produzione horror e fantasy mondiale (tra cui l’attesissimo The Green Inferno di Eli Roth), abbia scelto proprio Babadook per esordire sul mercato. Il film infatti ha avuto molti riconoscimenti all’estero ed è stato considerato dal New York Film Critics Circle Awards la miglior opera prima del 2014, per aver saputo usare il classico tema horror del mostro, in modo davvero originale e spaventoso. Jennifer Kent descrive alla perfezione il ménage tra una madre sola sull’orlo di una crisi nervosa e suo figlio, all’apparenza troppo inquieto (e inquietante).
Il punto di vista adottato dalla regista rimane sempre ancorato alla madre che, ci viene spiegato, lasciata sola dalla famiglia e dalla società, è incapace di affrontare sia la perdita del marito sia il comportamento violento del figlio. Ed è proprio questa la differenza più marcata tra Babadook e il classico film di genere, in cui lo sguardo è quanto di più oggettivo possa esserci per (di)mostrare allo spettatore che il mostro esiste davvero. La Kent invece gioca con le convinzioni di chi questo meccanismo lo conosce bene, rimanendo sapientemente in bilico tra reale e irreale, tra quello che la mente esausta di Amelia vede e ciò che accade davvero.
La regia è solo all’apparenza minimale, attenta invece a ogni più piccolo dettaglio senza lasciarsi mai prendere la mano dalle solite scene da horror estivo, con il mostro che compare dietro l’angolo. La fotografia livida è quasi espressionista, e Essie Davis dai capelli biondissimi e senza un filo di trucco, incarna una fragilità perfetta e dolcissima.
L’epilogo poi è un vero capolavoro che dimostra come il cinema fantastico, se ben pensato, riesca a raccontare le pieghe più terrificanti della realtà meglio di qualsiasi film realista.
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