L’Oscuro Signore, che da sempre tesse trame per causare la rovina del genere umano, ha deciso di mutare la sua strategia. La distruzione non è più legata all’operato di eserciti nemici, a creature terrificanti o al lato più oscuro del cuore dell’uomo, ma alla parte più nobile di coloro che vorrebbero proteggere gli esseri umani da ogni pericolo. Il male da sconfiggere prende infatti la forma di una neonata, concepita nel ventre di una vergine per opera proprio dell’Oscuro Signore e annunciata da presagi tali da far sì che la nascita non possa essere ignorata e che un’occasione di gioia finisca con il tramutarsi in tragedia.
Se una nascita di questo tipo appare in qualche modo familiare non è un caso. Silvana De Mari gioca volutamente con gli archetipi e con le stratificazioni di ricordi ed emozioni che religione, miti, fiabe e letteratura hanno lasciato nell’animo del lettore. Le storie che narrano di difficoltà di vario genere che precedono una nascita annunciata e percepita come miracolosa sono innumerevoli, e neppure la nascita da una vergine, resa feconda da un dio, appartiene alla sola fede cristiana. Una vicenda analoga è toccata, infatti, al greco Perseo, figlio della principessa Danae, tenuta prigioniera dal padre proprio per impedirle di concepire un figlio, e del dio Zeus, sceso su di lei in forma di pioggia d’oro, e all’eroe indiano Karna, figlio della principessa Kunti e del dio del sole Surya. E se spesso una nascita temuta provoca una strage degli innocenti, i figli degli Ebrei in Egitto all’epoca di Mosè e di nuovo a Betlemme al tempo di Gesù, o i bambini fatti uccidere da Artù nel vano tentativo di eliminare Mordred nella storia raccontata da Thomas Malory, in Hania. Il Cavaliere di Luce la possibilità di una strage, o almeno di un singolo omicidio che perderebbe il mondo, è sempre presente.
La De Mari conosce bene la materia su cui costruisce la sua storia, e volutamente ribalta gli elementi in gioco. Il dio che concepisce un figlio da una vergine non è un dio positivo, o almeno indifferente, ma lo stesso Signore Oscuro, la fanciulla prescelta non è di umili origini ma l’erede al trono, il bimbo che nasce si rivela essere una bambina e l’omicidio, o la strage, tanto temuti anche se quasi tutti lo ritengono l’unica possibilità di salvezza, non si compie. Gli archetipi ci sono proprio perché possano essere riconosciuti e, una volta riconosciuti, cambiati, perché esiste sempre una nuova strada da percorrere.
“Quando sei con le spalle al muro, tra due scelte che sono ambedue una sconfitta, inventane una terza”, scrive la De Mari, e questo è esattamente ciò che fa Haxen, la madre di Hania. Rifiuta le due scelte ovvie che le si propongono e ne inventa una nuova, molto più difficile, dall’esito molto più incerto perché, per quanto possa essere difficile compiere determinate scelte, sono proprio le scelte che compiamo, non la nostra origine, a fare di noi ciò che siamo. La nostra origine può indirizzarci più facilmente su un percorso piuttosto che su un altro, ma non è lei a determinare la nostra essenza.
La storia alterna il punto di vista di Haxen a quello di Hania, ma più che di punti di vista qui si può parlare di visioni diverse perché diversi sono i modi di percepire il mondo. Gli avvenimenti vissuti dai due personaggi sono gli stessi, eppure i modi di interpretarli non potrebbero essere più diversi. Perfettamente logici, come logiche sono le decisioni da prendere e le azioni da intraprendere, ma basta lo scarto dall’uno all’altro dei due personaggi per far capire che nulla è semplice e ovvio come potrebbe apparire a un primo sguardo e che non è detto che fra due logiche diverse una debba per forza essere sbagliata. Ed è su questa distanza, sulla possibilità (non certezza) di colmare il vuoto esistente fra le due protagoniste che si giocano la lotta di Haxen, la crescita di Haxen e il destino del regno.
Una storia di scoperta e di crescita quella raccontata dalla De Mari, fatta di piccoli passi quasi sempre poco spettacolari ma necessari perché ogni viaggio in fondo è costituito dalla somma di tutti i passi, e fra loro vi sono incomprensioni, tentativi un po’ incerti, errori e scelte difficili, perché di tutto questo sono costituite le vite degli esseri umani.
Con il suo consueto stile schietto, capace di far riflettere mentre si sorride, la De Mari narra una storia importante, che ha lo svolgimento di un’avventura e che non dimentica di divertire, ma che si interroga seriamente sulla libertà di scelta e su cosa significhi essere uomini.
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