La 16^ edizione di VIEW Conference, tenutati dal 19 al 23 ottobre 2015 ha avuto tra gli ospiti principali il regista Mark Osborne (Kung Fu Panda) che ha presentato al pubblico il suo ultimo film: Il Piccolo Principe, ispirato al romanzo di Antoine de Saint-Exupéry.
Durante la sua presentazione, commentando il romanzo originale, Osborne ha dichiarato:
Mamma perché piangi?, questa è la domanda che i bambini generalmente pongono al genitore che si emoziona dopo aver raccontato loro una fiaba. E’ la stessa situazione che mi piacerebbe si ricreasse con Il Piccolo Principe, un film per tutti non solo per bambini. Gli adulti ritroveranno il proprio “io” e il “via” per una conversazione intima e transgenerazionale con i propri figli.
Abbiamo approfondito il tema con il regista, in una intervista che ci ha gentilmente concesso durante i giorni della manifestazione, nonostante il fitto calendario di impegni, tra i quali il Panel Registi di Animazione: Lo Storytelling in Mondi Immaginari al quale Osborne ha partecipato con Jorge R. Gutierrez (The Book of Life), Kris Pearn (Piovono Polpette), Richard Starzak (Shaun, Vita da pecora) e Shannon Tindle (Coraline).
L'intervista in video, non ancora sottotitolata al momento, la trovate in fondo all'articolo, ma prima potete leggerne la trascrizione e traduzione per la quale ringraziamo Flora Staglianò.
Quando è stato il suo primo incontro con Il Piccolo Principe?
L’ho incontrato la prima volta quando mia moglie mi ha dato il libro, più di 25 anni fa, quando stavamo insieme all’epoca dell’università. Potrei essermi imbattuto nel libro prima di quel momento, ma se è così non lo ricordo. Quindi è stato solo quando lei me l’ha dato che il libro ha avuto un impatto su di me. È stato davvero incredibile. Mi diede la sua copia, e quando la lessi, dato che eravamo lontani, impegnati in una relazione a lunga distanza, le spedii un’altra copia del libro, scrivendole una lettera in cui le dicevo: “Non voglio che resti senza questo libro, quindi te ne spedisco una copia perché tu possa averlo”.
Qual è il suo rapporto con l’iconografia “classica” del romanzo, ovvero le illustrazioni originali di Antoine de Saint-Exupéry?
Be’, le illustrazioni originali fanno davvero parte dell’esperienza di lettura del libro, sono una componente concepita in modo magnifico dell’esperienza di lettura del libro. Penso quindi che le illustrazioni e le parole si fondano nel mio ricordo del libro, e credo che succeda a molte persone. A volte le illustrazioni sono più facili da ricordare della storia stessa. Mi sembra che il libro contenga una grande voce artistica, molto attraente e singolare… e la cosa che preferisco delle illustrazioni è il modo in cui l’aviatore, cioè il narratore, ripete in continuazione: “Oh, i miei disegni non sono molto belli”. Lo scrittore crea davvero questo universo e questo personaggio che non è lui stesso, non è Saint-Exupéry, è l’aviatore. E le illustrazioni sono il prodotto di questo personaggio, della sua mano. Questo aspetto è stato molto importante per me, e ho voluto ampliarlo, ho voluto prendere l’aviatore e dire: “Questo non è Saint-Exupéry, ma un personaggio che crea queste illustrazioni”, e ho voluto ampliare questo concetto. Volevo saperne di più su questa persona.
Ha studiato altri adattamenti precedenti del romanzo (serie TV, spettacoli teatrali)?
Prima di fare il film o di finirvi coinvolto avevo visto il film musicale che era stato realizzato negli anni ’70. Era diretto da Stanley Donen. L’avevo visto un paio di volte. Già anche solo per la vera e propria stravaganza di quel progetto, con la volpe interpretata da Gene Wilder, che io adoro, e il serpente interpretato da Bob Fosse, è un adattamento molto surreale. Immagino di non aver mai creduto che fosse necessariamente un grande adattamento delle idee del libro, quindi ho sentito che c’era spazio per alcuni miglioramenti. Mi sono anche reso conto che l’industria cinematografica non era rimasta entusiasta di quella versione, di quel film. Quindi abbiamo visto la possibilità di fare un prodotto che l’industria del cinema avrebbe apprezzato e poteva sostenere. Ero ben conscio di questo. So che esiste un cortometraggio in claymation (plastilina animata) fatto da Will Winton, e l’ho visto. L’ho visto ma come parte delle mie ricerche quando mi stavo preparando per questo progetto. Non ho mai visto la serie televisiva anime che è stata realizzata in Giappone, ne ho visto solo qualche fermo immagine, probabilmente in parte perché volevo distanziarmi da altri adattamenti, in modo da poter trovare un mio modo di realizzarlo.
Quale pensa sia stato il suo apporto alla chiave di lettura della storia?
Cos’ho apportato io al libro? Be’, ho voluto usare due diverse tecniche di animazione per poter proteggere il libro, e renderlo più confacente al modo in cui ci si aspetta che sia, più poetico, più lirico, più commovente, ha un passo più lento, e sapevo che questo avrebbe aiutato il film a essere più conforme allo spirito del libro. E in contrasto, il resto del film ha un passo diverso, un feeling diverso, e anche questo ha aiutato a raccontare la storia di questi due mondi differenti. Penso quindi di aver voluto cercare di esprimere non soltanto l’immaginazione di un bambino della storia, e il punto di vista di un bambino di quella storia, ma di aver voluto cercare di creare un qualcosa che desse una sensazione molto diversa nel contesto di questo pazzo mondo moderno in cui il film si svolge.
Ma è stato davvero molto importante, e c’è voluto molto lavoro per farlo, dare la sensazione che fosse un qualcosa che la bambina stava immaginando, perché penso che sia questa la caratteristica unica e magica del libro: noi tutti creiamo il nostro mondo immaginario che Saint-Exupéry ci chiede di creare nella nostra mente. Quindi volevo crearne uno che fosse credibile… è come se hai degli amici a cui piace molto il libro e che lo vedono in modo diverso, e tu apprezzi come lo vedono loro, quindi si possono avere punti di vista diversi. E ho sentito che questa era una cosa importante che dovevo cercare di mantenere. Quindi noi osserviamo il punto di vista della bambina, non è “il libro”, è la sua versione del libro. Questo era davvero importante.
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