Macbeth, Barone di Glamis, ha sconfitto e ucciso il traditore Macdonwald a capo delle forze ribelli, in nome del re Duncan di Scozia. Sul campo di battaglia, dopo aver bruciato i morti in compagnia del suo amico Banquo, gli appaiono tre misteriose donne che gli riveleranno una profezia: lui diventerà il prossimo re di Scozia mentre Banquo sarà il capostipite di una dinastia di re. Scosso da tale rivelazione Macbeth non presta fede a tali parole, ma quando il re lo informa di voler visitare la sua casa, una strana idea si fa strada nella sua mente. Esortato dalla moglie devastata dalla morte del figlio, decide di non aspettare che il fato si muova in suo favore, ma di intervenire da solo.
Sono arrivate a quota sette le versioni cinematografiche di questa tragedia shakespeariana, e diciamolo subito, quella di Justin Kurzel non brilla per originalità. Alle sue spalle questo semisconosciuto regista australiano ha un solo titolo di rilievo, Snowtown, in concorso nel 2011 al Festival di Cannes, ma il confronto con pesi massimi del calibro di Orson Welles, Akira Kurosawa e Roman Polanski non lo ha certamente aiutato. Perché se è senz’altro difficile portare sul grande schermo Shakespeare, risulta davvero troppo semplice puntare tutto sulla messa in scena, l’ovvia e massima differenza che c’è tra cinema e teatro.
Questo Macbeth è prima di tutto una ricerca visiva che mette al centro dell’azione i meravigliosi paesaggi scozzesi, verdi e avvolti da nebbie misteriose, il fango, il sangue e lo sporco della battaglia, la pietra e le architetture gotiche dei castelli. Non a caso la fotografia è di Adam Arkapaw che aveva già dato prova di sé in True Detective e che in Macbeth ripropone la stessa luce obliqua, capace di attribuire atmosfere inquietanti, quasi sovrannaturali. Ma è soprattutto nella scena della battaglia iniziale quando il barone di Glamis uccide Macdonwald che Kurzel si lascia andare a ralenti in stile 300 molto scenografici ma, vien da chiedersi, davvero necessari? Perché a parte questo, al dettaglio dei costumi, del trucco, dei colori, soprattutto il rosso luciferino del finale, nulla è uscito dall’inventiva di Kurzel che pare essersi limitato a riprendere i bravi attori che aveva a disposizione: Michael Fassbender e Marion Cotillard per Lady Macbeth. Una bella confezione insomma, ma per cimentarsi con Shakespeare ci vorrebbe qualcosa di più.
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