Già dire che in questo film i protagonisti siano Richard Gere, Dakota Fanning e Theo James fa alzare la posta facendo ben sperare e prendere in considerazione l’idea di vedere Franny, scritto e diretto da Andrew Renzi, per la prima volta alla regia, in un periodo in cui a Hollywood si prediligono pellicole a ridotto budget (che saranno sempre cosa altra per la nostra idea italiana di film prodotti con portafogli scarni).
The Benefactor (questo è il titolo originale) non è un fantasy, sulla carta, eppure guardandolo mi ha portata a vederci qualcosa di associabile. Franny (Gere), infatti, è un uomo di Philadelphia che tenta di vivere in una dimensione parallela in cui ogni azione lo distolga il più possibile dai ricordi, dai sensi di colpa, dal dolore morale e anche fisico.
In questo mondo parallelo è un filantropo, che gestisce tutto dal generale al particolare, aiuta tutti e risolve ogni cosa, esaudisce i desideri, conforta le persone in difficoltà, incoraggia i bambini e qualsiasi cosa ci sia da fare lui può.
Quando torna alla realtà, il ricordo della morte di Molly (Lyssa Robberts) e Charlie (Roy James) è terribile da gestire, le giornate procedono noiose, nel limbo ovattato della morfina e dell’albergo extralusso in cui il tempo scorre lento.
Franny viene anche definito dal proprio autista uno stregone, per via dei capelli e barba bianchi e lunghi, e per quell’aria con cui si offre all’esterno, come se fosse veramente l’uomo più strafigo di tutti, quello instancabile dalla vita piena e felice. Ma come qualcuno disse in altri contesti, non serve a niente rifugiarsi nei sogni e dimenticarsi di vivere. E presto Franny dovrà farci i conti.
Come è prevedibile, infatti, il ritorno di Olivia (Fanning) a Philadelphia insieme al marito Luke (Theo James), sconvolgerà lentamente quanto inesorabilmente tutti gli squilibrati equilibri di Franny che pian piano intraprenderà, anche un po’ suo malgrado, la strada del cambiamento ma soprattutto dell’assoluzione interiore.
Cosa conta davvero? Possiamo veramente pensare di recitare una parte con le persone che amiamo? Per quanto? E comunque, la situazione interiore è terribilmente legata alla sofferenza fisica, e l’abuso di morfina scatenando effetti devastanti porterà Franny a umiliarsi a costo di negare di avere un problema per poi decidere per cosa per chi valga la pena cambiare e affrontare le proprie pene.
Fotografia e musica riescono a essere una valida cornice di una pellicola discreta ma non esplosiva, ma è su Franny (o meglio, su Richard Gere) che si regge davvero l’intero film. Laddove la sceneggiatura è carente e qualcosa sembra non combaciare o poco convincere ecco l’attore giusto al momento giusto che, con il proprio fascino, un’arte ormai consolidata, capacità innegabili e una indubbia sensibilità è riuscito a entrare appieno in questo personaggio pieno di contrasti, luci e ombre. Ed è quasi paradossale, perché di Franny in realtà si sa pochissimo, eppure Gere è riuscito a donargli piena caratterizzazione pur mantenendo un tangibile livello di indefinitezza. I contrasti della storia si riverberano anche nella sua interpretazione: al suo cospetto tutto il resto sparisce o trova equilibro, resto del cast compreso, soprattutto nella versione in lingua originale; purtroppo con il doppiaggio i vari personaggi sono a rischio stereotipo e piuttosto affettati, decisamente piatti.
Sul resto del cast vale la pena spendere due parole sui due giovani protagonisti: solo Theo James riesce veramente a tener testa a Gere, come anche Luke fa con Franny, e ciò permetterà di godere di interessanti momenti e di dialoghi interessanti, emotivamente credibili. Non si può dire lo stesso di Dakota Fanning, indubbiamente dotata ma qui non ha la stessa fortuna, e risulta un po’ opaca.Una bella che non balla, troppo passiva, poco incisiva.
Grazie a Gere, quindi, sia da parte di chi vede il film che indubbiamente da parte di Renzi che, al suo primo lungometraggio girato in soli trentuno giorni, dimostra di avere le idee chiare e un’interessante sensibilità con cui raccontare storie ed emozioni complesse. E un grazie anche a Lucky Red, per scegliere di promuovere film non così "facili" da far apprezzare alla prima visione.
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