Ritorna il mondo narrativo ideato da Sylvester Stallone negli anni '70. La sua "storia della vita". Ma come è giù intuibile dal titolo, Creed – Nato per combattere, non è solo la continuazione della vicenda umana di Rocky Balboa. In realtà il vero protagonista è Adonis Johnson (Michael B. Jordan) che altri non è che il figlio illegittimo di Apollo Creed, l'uomo che Rocky sconfisse ma che poi divenne suo amico fraterno, e che morì sul ring negli anni '80.
Sebbene si tratti di una vicenda drammatica e realistica, Creed nasconde sotto il suo rivestimento tutti i tratti dell'epica.
Apollo era il campione dei campione di uno sport popolarissimo, la Boxe. Un vero e proprio Mito. E come il dio greco da cui prende il nome, intrattenutosi licenziosamente con una comune mortale, ha concepito un figlio, Adonis, altro nome preso da una figura mitica.
Conosciamo Adonis nel 1998, ospite di un orfanotrofio, quando la vedova di Apollo (Phylicia Rashad), decide di adottare il ragazzo, rimasto senza la madre naturale. E quella scena è il presagio del suo destino: dovrà fare a pugni per emergere nella vita. Questo nonostante la vita agiata che l'eredità di Apollo gli ha lasciato, perché dentro di sé, una volta diventato adulto, vorrà farcela da solo. A suon di pugni, sudando e sanguinando sul ring, sulle orme del padre mai conosciuto.
E chi meglio di Rocky può aiutarlo? Adonis si reca quindi a Philadelhia, dove l'anziano ex pugile, ormai fuori dall'ambiente, gestisce un modesto ma pulito ristorante italiano, dedicato alla memoria della sua defunta Adriana.
Qui Adonis compirà la sua storia, affrontando con la guida di un mentore inizialmente riluttante, tutti i passi che gli consentiranno di crescere come pugile e come uomo. Troverà infatti anche l'amore: la cantante Bianca (Tessa Thompson). Il tutto, passando per addestramento, prove riuscite e prove fallite, momenti di incertezza e altri di grande esaltazione, culminerà nella prova della vita, il match con il campione del mondo, il britannico 'Pretty' Ricky Conlan (Tony Bellew).
Sì, non c'è niente di nuovo in Creed. Si tratta di una storia raccontata da sempre e che sempre verrà raccontata. Come sempre a fare differenza è il come.
L'allestimento curato dal regista Ryan Coogler, prossimo a dirigere Black Panther per i Marvel Studios, non è meno che spettacolare. Attinge a piene mani alla mitologia della serie, riproponendone i luoghi topici, ma non ricrea pedissequamente i film creati quando il regista, classe 1986, non era neanche nato. Bensì li mostra per come sono oggi, nel bene quando migliorati, nel male quando peggiorati.
Accade così per i personaggi, Rocky è impietosamente invecchiato, e non ci viene nascosto. L'uomo che sfidò il dio, e dopo una prima sconfitta, lo vinse, è vecchio, stanco, minato nel fisico. Pur tuttavia è rimasto anche il buon sempliciotto di un tempo, enfatico, un po' ingenuo, cocciuto e orgoglioso. Uno Stallone da incorniciare, faro del film.
Ben affiatato risulta quindi il duo Stallone/Jordan, grazie anche alla innegabile bravura del giovane attore. Ma non ci sono componenti del cast che sfigurino. Dalla guest star Phylicia Rashad (ve la ricordate come Claire Robinson?), all'"interesse amoroso del protagonista" Tessa Thompson. Anche le piccole parti risultano credibili, Graham McTavish (Dwalin in Lo Hobbit) illumina le poche scene in cui è presente. Nella sufficienza il "cattivo", l'avversario interpretato da Tony Bellew, al quale pur tuttavia vengono affidati alcuni efficaci colpi verbali della sceneggiatura.
Il film non rifugge enfasi e sentimentalismo di facile presa. Autentiche furberie e fan service per tutti i fandom a cui si rivolge, da quello cinematografico a quello boxistico. Le citazioni visive e musicali dai Rocky non mancano in tutto il film, fino alla fine, e questo solleticherà il cinefilo. La scelta di immergere gli spettatori nella mitologia della boxe contemporanea, a uso dei fan dello sport, è rafforzata dai finti inserti dei HBO Sports e dall'uso di figure appartenenti alla boxe reale, dai pugili Andre Ward e Gabe Rosado, al coach Jacob 'Stitch' Duran, fino ad arbitri e commentatori nella parte di se stessi.
Il risultato però è funzionale anche alla fruizione da parte di uno spettatore che non conosca quel mondo, perché i volti vengono percepiti come autentici.
I match, quelli intermedi e quello finale, sono girati in modo da coinvolgere al massimo lo spettatore, come se fosse sul ring, come se gli arrivassero l'odore del sudore e gli schizzi di sangue.
Complessivamente Creed mantiene quello che promette, ossia di rinnovare e continuare in modo spettacolare, intrattenendo piacevolmente, una mitologia cinematografica consolidata, dandogli nuovi territori narrativi da esplorare.
Dato il successo di questo film e altri elementi che non posso anticiparvi, non è difficile infatti prevedere almeno un seguito.
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