Miseriaccia, esclamerebbe Ron, e come potrebbe essere diversamente?
Il 14 gennaio 2016, ci ha lasciati un grande artista del cinema e del teatro inglese e internazionale, regista ma soprattutto attore del nostro tempo, emblema dei ruoli più complessi, ambigui e affascinanti: Sir Alan Rickman.
Anche lui 69 anni e, come il conterraneo David Bowie, ha perso la propria battaglia contro il cancro che, infido come Nagini, lo ha colpito e ce lo ha portato via di nuovo, stavolta inesorabilmente.
Vincitore di un Golden Globe e di un Emmy, tantissime le nomination ai premi più ambiti da attori e registi, Rickman è stato un prototrentenne del XXI secolo dal punto di vista professionale. Ha infatti iniziato la propria carriera artistica superati i trent'anni, dopo la laurea tardiva alla Royal Academy of Dramatic Art (RADA). Prima del 1972, anno in cui vinse la borsa di studio per l’accademia, il suo destino sembrava essere quello di graphic designer.
Prima a teatro e poi per la televisione, Rickman ha saputo subito distinguersi e suscitare interesse ed emozioni da parte non solo del pubblico, ma anche dei propri colleghi e registi, e per un istrionico talento come il suo, particolarmente votato ai ruoli più complessi come in genere sono quelli dei cattivi, con un innegabile fascino dato non solo dal suo essere londinese purosangue ma un uomo ormai consapevole della propria arte, ha da subito ottenuto interessanti e gratificanti recensioni: è stato un duro lavoro, ma anche la strada migliore verso la consacrazione.
Se una generazione come la mia ha potuto goderne già dagli anni ‘80 in pellicole come Die Hard (dal 1988 al 1995) e Robin Hood – Principe dei ladri (1991), Ragione e sentimento (1995), Michael Collins o Rasputin – Il demone nero (1996), di certo è l’ingaggio per la saga in 8 film di Harry Potter nel complesso ruolo di Severus Piton ad aver fatto la sua fortuna e sancire per sempre il suo valore artistico in tutto il mondo.
Anche in pellicole di non estremo successo come Sweeney Todd – Il diabolico barbiere di Fleet Street (2007), Alice in Wonderland (2010) o Gambit – Una truffa a regola d'arte, Rickman ha saputo essere un valore aggiunto, e col suo fascino tipico degli attori esperti che ben vestono i ruoli particolarmente ambigui ci ha regalato momenti di straordinario cinema. E come dimenticare l'ironia e l'autoironia con la quale faceva il verso a Leonard Nimoy in Galaxy Quest?
Instancabile fino all’ultimo, potremo vederlo in una nuova interpretazione nei prossimi mesi nel film di guerra di Gavin Hood, Eye in the sky, e lo ritroveremo per l’ultima volta in Alice attraverso lo specchio, in uscita a maggio 2016, a dare quell'intensa e misteriosa voce al Brucaliffo.
Dopodiché non ci resterà, perché in fondo questo è il nostro compito di fan per rendere eterna la memoria di un artista, continuare a farlo rivivere attraverso i suoi personaggi sempre magistralmente caratterizzati in cui trapela, con discrezione ma grande capacità, la sua personalissima e accattivante espressività artistica. Di consolazione rispetto ad altri artisti di estremo talento morti in tragiche circostanze, sappiamo che Alan Rickman se ne è andato circondato dai propri cari e, da fan, sappiamo che certamente da ogni angolo del mondo stanno brillando tanti pensieri e tanti segni di affetto e cordoglio, come tante bacchette illuminate, come si fa in ricordo di un mago straordinario.
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