Nelle terre fredde e desolate della America del Nord un pugno di uomini caccia animali per ottenerne delle pelli e venderle. Tra di loro c’è anche Hugh Glass, un esploratore del luogo, insieme al figlio mezzo sangue, che viene mal tollerato soprattutto da John Fitzgerald, uno dei cacciatori del gruppo. Salvatisi per miracolo dall’assalto dei pellerossa interessati alle pelli, i pochi sopravvissuti si affidano a Glass e alla sua conoscenza del territorio per ritornare al fortino e alla salvezza. L’uomo però, andato da solo in esplorazione, viene attaccato da un orso e riporta ferite gravissime. Poiché non è più in grado di muoversi, il capo della spedizione promette un premio in denaro per chi si fermerà con Glass fino alla sua morte, dandogli poi una degna sepoltura. Attratto dal premio Fitzgerald si fa avanti ma, impaziente di lasciare quelle terre selvagge, uccide il figlio di Glass e lascia l’uomo morente in balia della foresta.
Dopo Birdman Alejandro González Iñárritu pare cambiare del tutto registro e dall’incredibile piano sequenza sulla vita sgangherata dell’ex star dei film di supereroi Michael Keaton, con Revenant – Redivivo passa alle gelide foreste della Columbia Britannica per raccontare la storia della vendetta di Hugh Glass, tratta dal romanzo del 2003 di Michael Punke. Il cambio di direzione è però solo apparente, perché per il regista messicano il cinema non è una questione di genere o di storia, quanto di linguaggio. Sono ancora una volta i movimenti di macchina, le inquadrature, i primi piani degli attori, le luci e tutti gli elementi scenici i protagonisti. Revenant ha lo stesso gusto per i paesaggi dei western di John Ford con la sola differenza che al posto degli infiniti deserti della Monument Valley si sono le foreste e i ghiacciai. L’ambiente e la luce naturale con cui è girato l’intero film hanno lo stesso peso, se non addirittura un valore maggiore, dei visi sporchi e distrutti dalla fatica di Leonardo di Caprio e Tom Hardy.
Tutto il resto, compresa la storia di vendetta, non è che un corollario che, nelle due ore e mezza di film, finisce per annoiare. Le piccole perle di grande cinema, come l’attacco dell’orso o l’incursione degli indiani all’inizio della pellicola, sono più un esercizio di stile che il motore narrativo della storia, e l’incredibile modo con cui Glass riesce a sopravvivere, richiede qualcosa di più della classica sospensione d’incredulità. Se, per tornare ancora a Ford, nei suoi film paesaggio e dramma umano si fondano in un’unione simbolica, Iñárritu non riesce in tale intento, mostrando una stupenda superficie ghiacciata che, però, riflette davvero poco l’anima dei suoi eroi.
1 commenti
Aggiungi un commentoSe gli dessero l'Oscar per questo film sarebbe proprio una presa in giro.
Ho già sentito diverse recensioni come questa di Martina.
Andiamo bene...
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