Spin-off rules! Da anni ormai questo termine è diventato di uso comune, in una forsennata rincorsa al facile successo che, purtroppo, ci ha regalato momenti di vero imbarazzo e, quando andava peggio, di profondo rammarico per l'occasione persa.
Non è questo il caso e vado subito a spiegare il perché.
Tutto nasce nel 2014, quando una spregiudicata operazione della Disney che, forte dell'acquisto nei 2009 dei dipartimenti più gustosi della Marvel, aveva messo in cantiere un film di cui nessuno (ma proprio nessuno) aveva richiesto a gran voce la produzione. Sto ovviamente parlando de I Guardiani della Galassia. Titolo sul quale nessuno avrebbe puntato un centesimo e che, al contrario delle aspettative, è stato un vero trionfo per ingegno e divertimento. Complice anche il fatto che in questo "esperimento", per la prima volta dopo quelli che sono sembrati eoni, la casa di produzione abbia lasciato campo libero a un regista che per anni aveva indossato i panni di un novello John McClane (il protagonista del fragoroso Trappola di Cristallo in canottiera e piedi nudi) della cinematografia Hollywoodiana.
Di fatto, James Gunn, prima di questo blockbuster, nessuno se lo era filato di striscio e veniva guardato con sufficienza dai predoni che occupavano l'edificio high-tech dell'élite cinematografica. E come avrebbe potuto avere anche solo una speranza di redenzione un regista che aveva nel suo portfolio capolavori trash come Tromeo and Juliet?
E invece: BOOM! Successo planetario. Gente che si alza dalle poltrone del cinema. Colonna sonora che, da datata, diventa immediatamente di culto. Vari cosplay con ricchi premi e cotillon. Insomma, una bella ventata d'aria fresca nell'asfittico mondo della cinematografia supereroistica.
Dopo questo trionfo degli outsider mi sarebbe piaciuto tramutarmi in Ant-Man, per assistere allo sconcerto nelle varie riunioni direttive dei dirigenti in doppiopetto che, di fronte a questo inaspettato successo, si devono essere guardati in faccia con dei punti interrogativi di dürrenmattiana memoria venutasi a creare sopra le loro teste, forti di acconciature da mille dollari a cranio.
Bisognava correre subito ai ripari! Così, si sono messi subito in campo le alternative. Così, un progetto che solo un anno prima era visto come fumo negli occhi, ha potuto vedere la luce. Così, la pianificazione di un titolo cinematografico che vedeva i cattivi protagonisti e che ha creato subito molto interesse. Sto parlando del non ancora distribuito Suicide Squad e dell'hype che sta creando a regola d'arte.
Da lì, il passo è stato brevissimo per arrivare alla televisione. In un periodo in cui la terza era delle serie TV produce quanto c'è di meglio in circolazione, gli strateghi della rete televisiva The CW hanno, a velocità supersonica, creato un nuovo titolo che non arrivasse in ritardo su questo "nuovo" trend.
Legends of Tomorrow è figlio di questa strana congiuntura che nessun solone del marketing televisivo/cinematografico avrebbe potuto prevedere.
Il plot è semplice, lineare e volutamente poco innovativo: un sgangherato gruppo di anti-eroi – ma anche eroi – piuttosto dimenticabili (dalle parole degli stessi protagonisti) è chiamato a una missione che, normalmente, sarebbe stata affidata a personaggi di più alta statura dei chiamati in causa. Lo scopo del loro gathering è piuttosto sofisticato: salvare il mondo dal cattivissimo che fa malissimo.
A differenza di I Guardiani della Galassia e di Suicide Squad, la serie non è un assemblaggio originale ma uno spin-off che parte da, non una, ma ben due serie TV di discreto successo: Arrow e del suo recente spin-off The Flash. Quindi, uno spin-off-off.
Parlando della produzione, una cosa salta subito allo sguardo smaliziato dello spettatore: il deux ex machina di tutto l'impianto narrativo è un Time-Master reietto, di nazionalità inglese e con modi di fare piuttosto eccentrici. Sì, lo so cosa state pensando ma Doctor Who non c'entra niente con la vistosa strizzatina d'occhio che i produttori ci hanno voluto elargire. Una mossa che, da sola, potrebbe farci alzare gli occhi al cielo per eccesso di mediocrità intellettuale, soprattuto se poi il quartier generale dei Time-Master totale globale viene biecamente rubato nel design da quello che appariva nella sfortunata serie 4400 dove, altri Time-Master con gli stessi propositi e la stessa miopia di quelli della serie attuale, si riunivano in una scenografia assolutamente identica. Davvero! Sembra che lo scenografo, abbia fatto un giro nei magazzini dismessi della precedente produzione e con un manipoli di sodali mascalzoni abbia organizzato il furto dell'intero set!
Ma traslasciamo un attimo i maneggi dello scenografo che, per onor di cronaca, ha fatto un bel lavoro di assemblaggio degli altri set. Focalizziamoci su una serie che, già dalle prime immagini, sembra voler prendere le distanze dal suo stesso padre putativo con cappuccio e frecce verdi. Intanto, la scelta stilistica e registica è lontana anni luce dal flavour cartonato di Arrow, che soffre di una congenita immobilità estetica, rendendolo un prodotto già datato e graficamente molto inizio nuovo millennio. Da ricordare gli impietosi paragoni fra lui e la nuova, e piena di baldanza produttiva, Daredevil di Netflix.
In questo episodio di presentazione la macchina da presa si muove, gli effetti speciali si sprecano e il risultato è qualcosa che lascia lo spettatore piuttosto impressionato.
Da divoratore di serie TV però ho una forte inquietudine, perché il dispendio di risorse che si è riversato in questo Pilot è talmente notevole che il rischio di aver già esaurito le finanze, destinate ai successivi episodi, potrebbe essere già agli sgoccioli prima di partire. Ma su questo aspetto sono costretto a lasciare il beneficio del dubbio, non avendo ancora avuto il piacere di guardare gli episodi successivi.
Parlando dell'aspetto più tecnico, se si dovessero fare dei paragoni con altre serie, diciamo che i colori di questo show non arrivano alle quote dark di Daredevil ma non sono nemmeno quelle colorose (e patacca) di Agents of S.H.I.E.L.D.. che in molti abbiamo imparato a detestare, per eccesso di paternalismo visivo. Diciamo che il prodotto ha una sua dignità e un buon carattere personale.
Riguardo ai personaggi, invece, il discorso è ben diverso: qui si è deciso (anzi, il format ha deciso) di affidare la parte dei protagonsti a personaggi di cui manco sapevo l'esistenza. Certo, i fan della serie Arrow, sicuramente, avranno riconosciuto subito i volti e i poteri dei lesser-super-whatever che sono stati reclutati dal britannico Time Lor… Master (sob!), in barba alle direttive temporali che tutto regolano. Per quelli invece che non hanno mai visto una puntata della serie dalla quale parte questa nuova, sicuramente saranno una bella sorpresa.
Più o meno tutti quanti sono credibili, la recitazione è adeguata alla situazione e il racconto che prende spunto dal loro background fila liscio fino alla fine della puntata. Devo ammetterlo: le mie aspettative erano così basse che, alla fine, ho davvero goduto ogni blocco narrativo. Uno storytelling che, per quanto banale potesse essere, ha avuto il pregio di essere costruito con dialoghi non dozzinali e con alcune battute davvero divertenti.
Insomma, Legends of Tomorrow non brillerà di ingegno e originalità, nessuno sentiva il bisogno di questa serie ma è un prodotto onesto che si lascia guardare con piacere. Gli ideatori Greg Berlanti (Dawson's Creek, Everwood e Arrow) e Marc Guggenheim (Eli Stone, Flashforward e Arrow) possono tirare un sospiro di sollievo, perché la loro scommessa, almeno per ciò che riguarda il Pilot, è più che vinta.
Non si cadrà dalla sedia, non si urlerà al miracolo ma non è scritto da nessuna parte che uno show debba per forza cambiare i destini del mondo. Viste le premesse, Legends of Tomorrow ha tutta la dignità di esistere e di avere un suo percorso. Io tifo per lui.
Poche ciance: guardatelo!
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