Agente dell'FBI con un passato da poli-atleta estremo alle spalle, Utah viene incaricato di indagare su una banda di ladri che compie furti "ecologici" in giro per il mondo. Grazie alla sua esperienza, Utah non tarda ad accorgersi che le imprese criminali possono essere compiute solo da dei poli-atleti estremi come lui e non solo: i colpi sono strettamente legati alle mitiche otto prove di Ozaki che condurrebbero, se superate, all'armonia con la natura e al Nirvana.
Le premesse per fare di Point Break un buon film d'azione con spettacolarizzazione massiccia degli sport estremi e sottotrama ecosostenibile non mancano. Eppure ci sono diversi elementi che non tornano, a partire dalla sceneggiatura. In generale, la storia manca di equilibrio: a un certo punto, come Utah, lo spettatore è così preso da feste su yacht e giornate di snow board da dimenticarsi di avere a che fare con una banda di ladri. La zona grigia in cui i buoni rappresentano la legge dell'uomo e i cattivi la legge della natura sembra una confusione casuale e non una scelta precisa.
La recitazione del cast non va oltre la sufficienza, dimostrando che si è deciso di puntare tutto sul 3D nativo che dovrebbe – nelle intenzioni – bastare ad attirare lo spettatore in sala. Da spettatrice, inoltre, trovo irritante un film con un cast al 90% maschile in cui l'unico personaggio femminile, Samsara interpretata da Teresa Palmer (Warm Bodies) è messo lì solo per avere una storia di poco conto con il protagonista, con un ruolo "attivo" sulla carta ma non di fatto – la vediamo fare surf e arrampicata e destreggiarsi in moto da corsa, ma sono scene messe lì solo per far vedere che è capace.
Point Break, remake del film omonimo del 1991 con Patrick Swayze e Keanu Reeves, ha senso nella misura in cui i stabilisce che la terza dimensione possa aggiungere qualcosa di effettivo, ma è un di più tecnico. Sotto il profilo artistico manca la sostanza. In generale, un film che si può tranquillamente evitare.
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