In L'ultima parola – La vera storia di Dalton Trumbo (da qui in poi per comodità userò il titolo originale, ossia Trumbo), s'incontrano per l'ennesima volta cinema e impegno civile. Non sempre i film che raccontano una storia vera ed edificante sono all'altezza di quella storia. In questo caso, grazie anche a un cast di attori di prim'ordine, Trumbo si rivela all'altezza.
La vicenda è quella di uno degli sceneggiatori più pagati di Hollywood dell'immediato dopoguerra della II Guerra Mondiale che, iscritto al Partito Comunista Americano, viene inserito nella lista nera del Comitato per le Attività Antiamericane (HUAC), con la conseguenza di non riuscire più a lavorare e, successivamente, di essere condannato e imprigionato per le sue idee politiche.
Ma se già Dalton Trumbo (Bryan Cranston) era riuscito, usando come prestanome l'amico non proscritto Ian McClellan Hunter (Alan Tudyk), a vendere a Hollywood una sua sceneggiatura, il celebre Vacanze Romane, premiata con l'Oscar, successivamente, lavorando per una casa di produzione di B movies guidata da Frank King (John Goodman), riesce a restare segretamente nel giro. Non solo, coinvolge anche i suoi ex colleghi, anch'essi proscritti, osteggiati dall’Alleanza Cinematografica per la Tutela degli Ideali Americani, alla cui guida c'erano gli attori John Wayne (David James Elliott) e la giornalista Edda Hopper (Helen Mirren). Si crea quindi un sistema ufficiosamente noto, ma non pubblicamente rivelato, che consentirà ai "dieci di Hollywood" di lavorare per lungo tempo. Trumbo addirittura arrivò a vincere, sotto lo pseudonimo di Robert Rich, un altro Oscar, con un film prodotto da King, La più grande corrida.
Nonostante abbia creato una piccola industria parallela, Trumbo però lavora 20 ore al giorno, assumendo alcool e anfetamine, mettendo a rischio il suo equilibrio e i rapporti con la moglie Cleo (Diane Lane) e la figlia Niki (Elle Fanning).
L'inizio della fine di tale espediente si verificherà quando Kirk Douglas (Dean O’Gorman), interprete principale e produttore di Spartacus, vorrà Trumbo come sceneggiatore del film, seguito a ruota dal regista Otto Preminger (Christian Berkel). Entrambi accrediteranno lo sceneggiatore nei titoli di testa, contribuendo a scardinare le liste nere.
La somma di intenzioni "egoistiche" è alla base della storia di Trumbo.
Quello che Dalton Trumbo voleva era di riuscire a lavorare, mantenendo la famiglia. Perseguendo il suo scopo scardinerà un sistema, rivelando che il Re è nudo, ossia che alla fine l’Alleanza Cinematografica per la Tutela degli Ideali Americani, altro non era che un sistema di controllo economico del lavoro degli studios, che imponeva alle major di far lavorare solo i soggetti a lei afferenti, prosperando e incassando milioni di dollari, cavalcando l'onda del "pericolo comunista".
Corsi e ricorsi, ora come allora, c'è sempre una lobby che prospera sulla paura. Nonostante la storia di Trumbo si possa dire a lieto fine, rimane tristemente attuale.
La confezione del film è elegante, con un'accurata ricostruzione d'ambiente. Non appare laccata anche se in alcuni passaggi la sceneggiatura si concede un po' di enfasi.
Gli attori sono tutti all'altezza dei ruoli. Cranston è sempre incredibile. Un plauso a Louis C.K. che interpreta l'unico personaggio inventato per esigenze drammaturgiche, lo sceneggiatore Arlen Hird, somma di vari sceneggiatori che conobbero realmente Trumbo, con idee più radicali delle sue. Un espediente che aiuta a esplicare le idee del protagonista, evitando "spiegoni" didascalici e concentrandosi sui rapporti tra due soli personaggi invece di disperderli in più dinamiche parallele che esprimono però gli stessi concetti.
C'è una intensa dinamica uno-a-uno con tutti gli altri personaggi principali, ciascuna che esprime diversi aspetti della figura di Trumbo, con tutte le sue contraddizioni. Quella con moglie e la figlia, con Edda Hopper, Frank King fino al controverso rapporto con l'attore Edward G. Robinson (un grande Michael Stuhlbarg, mimetico in modo straordinario in un ruolo complesso e problematico). Segnalo anche il sempre bravo Alan Tudyk, che vorrei rivedere più spesso.
Ma queste sono solo quelle principali, perché ogni avanzamento del film avviene per dinamiche e interazioni con personaggi chiave.
Trumbo non era un eroe chiamato a un destino di grandezza, bensì un uomo che voleva solo esprimere la sua opinione e lavorare nel rispetto delle leggi del suo paese. Onestamente stupito della condanna per oltraggio al Congresso per non aver voluto rivelare le sue opinioni, fermamente convinto che nessuno avesse alcun diritto di obbligarlo a testimoniare sulle sue opinioni politiche. Quando sono gli stessi governanti a istituire commissioni, promulgare leggi sulla base di principi iniqui, la somma di intenzioni e di aspirazioni alla normalità dei cittadini, può vincere almeno una battaglia di questa guerra infinita.
Questo sembra dirci Trumbo, ricordando nel finale, le altre migliaia di persone "normali", che hanno sofferto senza una ribalta, perdendo lavori comuni e la loro vita di ogni giorno, rovinati per sempre per un'idea politica.
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