Ciao Marco e grazie della disponibilità. Sono passati diversi anni dalla pubblicazione della tua Trilogia di Lothar Basler, che effetto ti fa la nuova edizione in ebook nella collana Odissea Digital Fantasy di Delos Books?
Un effetto assai più vicino alla prima volta di quanto mi fossi aspettato. Negli ultimi anni, per questioni prettamente personali, ho sottratto molto tempo al mio essere scrittore e per questo la riproposizione della saga acquisisce il sapore del nuovo inizio rivolto al futuro piuttosto che del revival dedicato al passato. Qualcosa che mi emoziona molto, senz'altro.
Ci racconti com’è nata la storia di Lothar e dei suoi compagni?
La Trilogia di Lothar Basler nasce oltre diciotto anni fa, sul finire del 1997, quando misi la penna sul foglio allo scopo di esprimere un’emozione complessa che da troppo tempo mi covava dentro. Nessun pensiero di pubblicazione, nessuna aspettativa particolare se non quella di trasporre in una storia le sensazioni che si erano andate aggrovigliandomi dentro in un periodo di crescita della mia vita. Sentii di avere sciolto tutti i nodi solo al principio del 2001, firmando l’epilogo del terzo e ultimo romanzo della saga. Esausto ma soddisfatto dinanzi al lascito emotivo incarnato da quella storia cupa, costellata di scintille fulgide assediate da una tenebra densa. L’idea della pubblicazione, come anticipato, è venuta solamente a distanza di anni, motivo per cui la Trilogia ha visto le stampe con la Curcio solo a partire dal 2007.
L’ambientazione della trilogia è una visione distopica che, a mio avviso, si trasmette alla caratterizzazione dei personaggi. Tutto questo, al tempo, rifletteva un tuo stato d’animo, un’esperienza personale, una visione sfiduciata della realtà?
All'epoca ero giovane e convinto che le giuste dosi di volontà e passione fossero sufficienti a modellare il proprio destino. Lo scontro con i primi veri spigoli della vita m’insegnò fatalmente che si cresce soprattutto attraverso le disillusioni e le cicatrici che ti lasciano addosso. Il segno di quelle cicatrici si tradusse senza dubbio nell'ambientazione distopica che caratterizza la Trilogia e i suoi protagonisti. Non ho mai nutrito a ogni modo un’autentica sfiducia nei confronti della realtà. Ora come allora, conservo ancora in una certa misura la certezza che volontà e passione siano essenziali a portarci là dove vogliamo: semplicemente, sono realista quel che basta da sapere che non è sempre sufficiente, che tutto ciò che possiamo fare è provare e riprovare, senza arrenderci ma al tempo stesso senza pretendere di riuscire prima di averci messo tutto quel che abbiamo. Aggiungo che sono sempre stato attratto dal fascino decadente del crepuscolo e delle ombre che preannuncia, e pur tuttavia amo ancor più la luce che sgorga dalle tenebre, resa tanto più fulgida dall'oscurità circostante. Questo è parte fondamentale dello spirito della Trilogia di Lothar Basler e dell’emozione che è stata scritta per trasmettere.
Quali figure narrative ti hanno ispirato all'epoca? Solomon Kane di Howard, Roland di King?
Premessa doverosa: per come la vedo io (e certo non solo io), Stephen King è un maestro della narrazione. Pur non definendomi un vero appassionato di horror, apprezzo moltissimo le sue opere e la sua maniera di narrarle. Al netto della prolissità che lo caratterizza, di lui leggerei probabilmente anche un libro di ricette. È il ‘come’ prima ancora del ‘cosa’ che mi conquista. È la sua capacità viscerale di scavare nel cuore dei personaggi e di trascinarti al loro fianco ad avere sempre rappresentato un modello affine alla mia maniera di interpretare la narrazione. Roland di Gilead è un personaggio che condivide molti aspetti con Lothar Basler, benché quest’ultimo conservi a mio parere maggiore umanità rispetto al pistolero, rappresenti in ultima analisi una personalità meno estremizzata. Incarnano entrambi tormento e disincanto, uniti alla ferrea, disperata volontà di cercare redenzione attraverso un cammino difficile.
Riguardo Solomon Kane, confesso che all’epoca dell’ideazione di Lothar avevo letto molto di Conan il Cimmero, ma conoscevo molto meno gli altri personaggi di Robert Howard. In questo caso, molto semplicemente, Lothar e Solomon hanno attinto per vie parallele a un modello iconografico comune, a metà tra il padre pellegrino e il cacciatore di streghe. Lascio comunque immaginare la mia sorpresa alla vista della successiva trasposizione cinematografica dedicata all’eroe howardiano: senza avermi detto niente, Lothar Basler si era dato al cinema!
Hai pensato di cambiare qualcosa in questa edizione ebook di cui è già uscito il primo romanzo, La lama del dolore?
Come detto, la prima stesura de La Lama del Dolore risale al 1997. Una vita fa, scandita da un inevitabile divario di maturità e stile tra quello che è stato il mio primo romanzo in assoluto e la mia produzione attuale. Non sulla struttura della storia ma sullo stile e, con un semplice lavoro di lima e di spugna, ho ridotto di circa un 10% la dimensione originale del romanzo, conferendogli l’espressione migliore a cui probabilmente io possa aspirare senza snaturare la sostanza dei diciotto anni trascorsi dalla sua genesi. Sotto molti aspetti, quel romanzo ha rappresentato per me un banco sul quale sperimentare e sperimentarmi. La versione pubblicata nel 2007 dalla Curcio è stata ovviamente il prodotto di molteplici revisioni da parte mia e dell’editore ma, nonostante ciò, non sono mai riuscito a sentirmi pienamente soddisfatto del risultato. È fisiologico: se non esistesse un simile divario vorrebbe dire che in tanti anni la mia penna non si è evoluta, che l’autore non ha capitalizzato l’esperienza. Comunque sia, ho colto l’occasione della riedizione in ebook per mettere di nuovo le mani sul manoscritto.
Nei tuoi progetti c’è ancora posto per Lothar oppure si tratta di un personaggio che appartiene al passato?
Con l’epilogo della Trilogia di Lothar Basler sentivo di avere concluso una storia. Poi, con il tempo, mi sono reso conto che non era del tutto vero. L’idea di conferire una nuova veste alla saga è strettamente legata all’intenzione di portare a compimento ciò che ai miei occhi compiuto non è fino in fondo. Dunque sì, c’è ancora posto per il mondo di Lothar, per alcuni personaggi vecchi e per molti nuovi. C’è ancora strada da percorrere per chi avrà voglia di sapere dove va a finire.
Cosa è cambiato, a tuo giudizio, dall'epoca della prima pubblicazione della Trilogia, nel rapporto tra i lettori e il fantasy italiano?
Per le questioni personali cui accennavo in precedenza, negli ultimi tempi ho rarefatto la mia partecipazione presso la comunità del fantasy italiano. Mi sono limitato ove possibile ad osservare, seguendo il succedersi di novità in termini di tendenze, romanzi e autori, l’accavallarsi di voci e opinioni, talvolta misurate, talaltra estremizzate, come ovunque accade di questi tempi su qualsivoglia argomento, a maggior ragione là dove la partecipazione è alimentata dalla passione. Il movimento in Italia era giovane qualche anno fa, lo è meno oggi, ma resta lungi comunque dall'essere consolidato. Molti esordienti si avvicendano, pochi riescono alla lunga a conservare la ribalta. Resto tuttora convinto che le prospettive in merito agli autori italiani non manchino, per varietà e qualità d’offerta. L’ostacolo maggiore continuo a vederlo sulla sponda dell’editoria, con le sue criticità vecchie e nuove, esasperate nel caso di un genere come il fantasy. Agli scrittori spetta di continuare a lavorare e migliorarsi, ai lettori di sostenere chi davvero merita, senza pregiudizi, faziosità o dispute sterili.
E nel rapporto tra gli editori e gli scrittori fantasy italiani?
Spiace dirlo, ma sotto alcuni aspetti, a distanza di qualche anno, ho trovato diversi editori maggiormente… preoccupati. La crisi del settore non è notizia di oggi, tuttavia mi sembra che il timore di sbagliare titolo sia accresciuta negli ultimi tempi. Mi è capitato di ricevere feedback lusinghieri sulla qualità di alcuni lavori proposti, unita tuttavia a dubbi relativi al ritorno d’investimento del prodotto. Lavoro come manager in una multinazionale che si occupa di servizi tecnologici, conosco alla perfezione le logiche del business e della profittabilità dei progetti. Ciononostante, osservare editori storicamente dedicati al fantasy e non solo, più o meno costretti a virare su tutt'altro per esclusive questioni di profitto (o di sopravvivenza, nei casi peggiori), è senza dubbio desolante. La mia non è un’accusa, bensì una semplice presa di coscienza. Alla quale si sottraggono per fortuna alcune eccezioni, tra le quali evidentemente la Delos che continua a investire su ciò in cui crede senza travisare la propria vocazione originale. Detto ciò, voglio comunque esprimere fiducia: a valle dei cicli e ricicli delle mode, verrà il momento in cui chi deciderà di puntare ancora sul genere lo farà basandosi sulla qualità delle proposte e sulla volontà di continuare a supportarle.
Che opera hai in cantiere? Fantasy, Weird, altro?
Di un seguito della Trilogia di Lothar Basler ho già detto. Sarà un’altra saga, ma sarà anche l’unica per il breve-medio periodo. Per il resto, preferisco concentrarmi su lavori ‘singoli’, magari in prospettiva inseriti in filone, ma con un prologo e un epilogo ben compresi all’interno del singolo volume. C’è un romanzo fantasy avulso dall’ambientazione di Lothar in progetto, benché una simile classificazione finisca col qualificarlo solo in parte. Si tratta sicuramente della storia più weird che io abbia mai scritto, contaminata di horror e gothic come nel mio stile. Confesso di non avere mai amato le etichette, pur comprendendone la rilevanza per chi, come gli editori, ha necessità di commercializzare il prodotto. Per me, lettore o scrittore, è sempre e soltanto la storia che conta, insieme alle emozioni che è capace di offrirmi. Banale da dire, forse, ma non per questo meno vero. Infine, c’è anche un altro progetto in cantiere, che fantasy non è: un romanzo storico. Chi mi legge sa quanto il mio fantasy sia caratterizzato da un taglio verosimile. Se non ho mai intrapreso la via dello storico è per il carico gravoso di documentazione che va affrontato, non certo per la passione che invece nutro per la materia. Diciamo che alla fine mi sono convinto.
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