Sono passati cinquant'anni dall'uscita del film L’armata Brancaleone di Mario Monicelli, che esordì nelle sale cinematografiche il 7 aprile 1966.
Per festeggiare la ricorrenza Le Edizioni Erasmo di Livorno propongono per la prima volta in un libro la sceneggiatura originale del film. Il volume, L’Armata Brancaleone. La sceneggiatura, è curato da Fabrizio Franceschini, professore ordinario di Linguistica italiana presso l’Università di Pisa, che in un’ampia introduzione analizza la sceneggiatura scritta da Mario Monicelli, Agenore Incrocci (Age) e Furio Scarpelli. Composto da 366 pagine, il volume comprende anche una presentazione affidata al medievista Franco Cardini e una postfazione di Giacomo Scarpelli, figlio di Furio.
La sinossi
Questa pubblicazione
– spiega Fabrizio Franceschini – arriva a conclusione di un corso svolto all’Università di Pisa , dove abbiamo un laboratorio permanente che si occupa di lingua, cinema e scrittura.
Un libro, come racconta il professore dell’Ateno pisano, che è nato dal ritrovamento e dal confronto delle tre stesure della sceneggiatura, una conservata nell’Archivio Centrale dello Stato a Roma e le altre due ancora in possesso della famiglia Scarpelli.
Si va da Capalbio
– dice Franceschini – dove nell’agosto 2013 Giacomo Scarpelli mi ha consegnato il primo dattiloscritto, alla casa presso Piazza di Spagna ove nel settembre successivo la signora Cora e Giacomo mi hanno messo a disposizione, con un buon tè, il copione più recente, sino alla casa toscana di S. Cristina ove Giacomo e Massimo Ghirlanda ne hanno reperito, nel luglio 2015, l’ultima parte.
Ma oltre a recuperare le varie versioni della sceneggiatura – quella pubblicata nel volume è la terza e ultima – Franceschini si concentra sull’analisi linguistica del film: al contrario di quanto comunemente ritenuto, la sua tesi è che quella dell’Armata Brancaleone non sia una lingua inesistente o inventata. Il suo studio evidenzia infatti l’ampio utilizzo delle fonti letterarie da parte degli sceneggiatori, teso specialmente a caratterizzare i personaggi delle classi superiori o del clero: si va dai poeti siciliani, a Dante, specie per Brancaleone, a Iacopone riflesso dal personaggio di Zenone, a Machiavelli e al Pulci, per giungere al Bacco in Toscana di Francesco Redi sino al Belli, Manzoni e Pascoli. In base poi all’assunto degli sceneggiatori che “in questi anni oscuri, mal precisati, del Medioevo, la gente non doveva parlare in modo sostanzialmente differente dalle persone semplici di oggi”, i personaggi delle classi umili sono associati alle varie aree dialettali, da quella mediana e in particolare laziale (Taccone e Pecoro), a quella settentrionale (Mangoldo) sino a quella campana (Zito) e all’estremo sud. Una lavoro sui dialetti facilitato dall’esperienza che Monicelli, Age, Scarpelli avevano già maturato nei film precedenti, in particolare nella “Grande guerra”.
In questo quadro, fanno forse eccezione solo i ‘portatori di morte’, ossia i predoni barbari e i pirati saracini, che sono caratterizzati da “non-lingue” animalesche, mentre i loro capi usano parole incomprensibili ma allusive al mondo germanico o al mondo arabo. E così anche il temibile Cavaliere Nero, che si esprime non con parole ma col fiammeggiare dell’unico occhio o con ruggiti, comincerà a parlare solo dopo l’incontro col monaco Zenone che lo umanizza.
Age - Monicelli – Scarpelli, L’Armata Brancaleone. La sceneggiatura
Edizioni Erasmo – Pag. 366 -
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