Wolf è un investigatore privato nella Londra del 1939. Ha una storia alla spalle, Herr Wolf, di origini austriache ma esule dalla Germania.
Siamo in un quadro geopolitico molto diverso da quello che conosciamo nel nostro mondo. L'ascesa del nazismo è stata stroncata sul nascere da un regime comunista e gli ex Nazisti si sono sparsi per l'Europa, con una predilezione per la Gran Bretagna, dove alcuni si barcamenano per sopravvivere come Wolf, altri, come le prostitute che stazionano di fronte al suo ufficio, conducono una vita miserabile, altri ancora sono riusciti a riciclarsi nell'alta società inglese, con agganci e amici comprati dal denaro.
Due casi che gli piombano tra capo e collo spingono Wolf in un viaggio allucinato e allucinante, il cui vero mistero non è la ricerca del "colpevole", bensì la riscoperta di se stesso, di ciò che era e di ciò che sarebbe potuto diventare.
Il gioco è esplicito sin dall'inizio. Anche se il vero nome di Wolf non è detto che alla fine, sin dal primo capitolo lo scrittore ci pone volontariamente un passo avanti, perché il gioco del romanzo, assodato il "dove" e il "quando" non è scoprire "chi", ma "come" e "perché".
In un altro tempo e luogo, Shomer dorme e sogna.
Questa frase che in forme diverse tornerà come il ritornello di una canzone, introduce l'altro piano narrativo di Wolf di Lavie Tidhar, dando un senso più compiuto al titolo originale del romanzo, A Man Lies Dreaming, ovvero Un uomo che mente sognando: i lager nei quali i nazisti hanno internato e ucciso milioni di persone (tra ebrei, prigionieri politici a vario titolo, rom e altre minoranze razziali).
Shomer una volta era uno scrittore shund, parola yiddish che indica quella letteratura che conosciamo come pulp. Come spiega lo stesso Tidhar nelle note storiche in coda al romanzo, si tratta di una citazione di uno scrittore realmente esistito, anche se molto tempo prima dei lager. Tra i compagni di prigionia di Shomer troviamo, citati in modo velato, Primo Levi, che ha narrato la sua esperienza in Se questo è un uomo e in La tregua, e Ka-Tzetnik, autore di un romanzo che sono stimolato a recuperare, chiamato La Casa di Bambole, che descrive con le tecniche del pulp i bordelli nei quali le prigioniere erano costrette a prostituirsi.
Queste due presenze sono la chiave di lettura per comprendere l'operazione di Tidhar.
Se la descrizione della prigionia di Shomer è ispirata al crudo e anti-retorico stile di Primo Levi, la parte delle sofferenze di Wolf/Adolf è a tutti gli effetti un compiaciuto romanzo pulp, pieno di sesso e violenza esplicita, scaturito dalla fantasia di un uomo che soffre e che tormenta colui che è l'artefice principale delle sue sofferenze.
In questo caso Shomer si confonde con lo scrittore che, va ricordato, è ebreo e i cui nonni furono uccisi nei campi nazisti.
Pertanto Shomer/Thidar infieriscono su Wolf/Adolf tormentandolo con quello che forse era anche il peggior incubo della vera figura storica: l'essere una nullità, un rifiuto della storia in balia di eventi più grandi di lui. Immaginando gli eventi della sua mancata ascesa viene attuato quel contrappasso che Dante Alighieri utilizzò nell'Inferno della Divina Commedia, per infierire su figure storiche e leggendarie. In quel caso l'Inferno era un luogo distinto dal piano del reale, tanto quanto lo è l'ucronia.
L'eccesso di pulp, di sesso esplicito, di sangue e umori, è un atto dovuto al linguaggio scelto. Se il punto di vista è quello del sogno di uno scrittore shund, mettere un solo episodio, o anche solo due, avrebbe svilito l'intento narrativo, dandogli un'aura di pretestuosità. Un atto di coerenza narrativa. Se La Casa di Bambole era un romanzo definito come "pornografia dell'Olocausto", Wolf ne segue il solco senza compiacimenti, allo stesso modo di Ka-Tzetnik, che era un reduce dai campi nazisti, pseudonimo che significa "Il prigioniero".
Non è una furbata insomma, perché l'analisi di Tidhar va oltre il semplice infierire con le tecniche del pulp su un'odiata figura storica. Collocando nella vicenda altri personaggi storici della germania nazista, Tidhar dimostra la tesi che Hitler non è stato una singolarità storica, e che è non affatto detto che la sua rimozione avrebbe fatto prendere una piega diversa alla storia, risparmiandoci gli orrori. Il che è ben lungi dall'assolverlo per le sue colpe, intendiamoci. Ma è chiaro che un uomo sale al potere con complicità, tra scrosci di applausi di masse festanti, pronti a trasformarsi in fischi e insulti a seconda di altre complicità. La storia per Tidhar, insomma, ha delle invarianti, dei punti fissi non scardinabili. Il che è forse l'unico vero limite del romanzo, la cui trama, nel momento in cui tira i fili, non ha twist particolarmente sorprendenti.
Un romanzo ricco di spunti e di rimandi, di punti da approfondire, per non dimenticare le pagine più oscure della storia.
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