Esce il 9 giugno nelle sale cinematografiche un classico del 1951 restaurato che unisce artisti di eccellenza come Gene Kelly e Vincente Minnelli, il quale firma la regia di uno dei più emblematici musical della storia del cinema: Un americano a Parigi.
L’americano Jerry Mulligan (Gene Kelly) dopo la guerra, ha identificato Parigi come l’unica città dove un pittore possa vivere e dipingere esponendo i quadri a Montparnasse. Quadri che però nessuno compra, finché una ricca americana, Milo Roberts (Nina Foch), lo nota e decide di promuoverlo come artista e spera come fiancé.
Mulligan è titubante, non gradisce vendere i propri quadri in cambi di favori personali. La cosa si complica quando conosce in un locale una giovane e graziosa ragazza di nome Lise Bouvier (la bravissima Leslie Caron), di cui si innamora, che poi scoprirà essere la futura sposa del suo amico Henri Baurel (interpretato da Georges Guétary, cantante di operetta, quindi con un’impostazione lontana dalla vivacità e dal ritmo jazzistici di Kelly).
A mettere un po’ di sale, fare da spalla comica e intermezzi musicali di altissimo livello, l’amico e condomino di Mulligan, il pianista spiantato Adam Cook (Oscar Levant compositore, musicista e attore che qui offre la prova della sua versatilità e bravura.
La storia è un pretesto per mettere in scena balletti, canzoni e coreografie hollywoodiane, che sono entrate nell’immaginario comune: l’immagine dello studio di Gene Kelly con il letto issato attraverso carrucole e catenelle, la porta che in realtà nasconde una pseudocucina, una consolle che diventa tavolo, trovate utilizzate in tanti film anche italiani. Mi viene in mente Il ragazzo di campagna e il suo miniappartamento in cui tutto appare e scompare con un taac. Chiaramente i tempi erano diversi e l’intento registico anche.
Il lieto fine è assicurato. E nonostante alcune falle macroscopiche della storia lo spettatore è talmente coinvolto dalle immagini, dalla possanza e contemporaneamente dalla leggiadria dei volteggi dei ballerini, dalla cura dei balletti, che riprendono quadri di Lautrec, dei Fauves, dell’Impressionismo, dai bellissimi costumi per cui vinse uno dei sei Oscar, dalla cura dell’illuminazione, che esce dalla sala cinematografica come svegliandosi da un sogno, magari canticchiando qualche standard.
Menzione a parte alle splendide musiche di Saul Chaplin e George Gershwin che accompagnano la storia, diventando un racconto parallelo.
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