Sono passati 10 anni da quanto John Clayton III Lord di Greystoke (Alexander Skarsgård) è ritornato alla "civiltà", dopo essere stato considerato morto insieme ai suoi genitori in Africa.
Popolarmente noto come Tarzan delle Scimmie, a causa di racconti leggendari sulle sue gesta riportati sull'equivalente di fine '800 dei tabloid scandalistici, quando è convocato a al 10 di Downing Street dal Primo Ministro (Jim Broadbent) non immagina certo che è per una proposta che comporta il suo ritorno in Africa.
Il re Leopoldo del Belgio, al quale è stata affidata la gestione dei territori coloniali del Congo, vorrebbe ospitarlo per mostrargli come abbia trasformato le colonie, impiantando scuole, ospedali e progetti di sviluppo.
Lord Clayton non solo è riluttante, ma oscilla tra il non credere a queste mirabolanti imprese, tra il rifiuto a tornare comunque in Africa, e la consapevolezza che nel migliore dei casi si ritroverebbe a fare da incauto testimonial del colonialismo.
Va detto che noi spettatori siamo stati messi un passo avanti nell'incipit del film, dal quale abbiamo saputo che l'invito sia in realtà una trappola. Un piano orchestrato dall'inviato del Re in Congo, l'avventuriero Léon Rom (Christoph Waltz) che ha stretto un patto con un vecchio nemico di Tarzan, il capo Mbonga (Djimon Hounsou): Rom consegnerà al capo tribù il lord inglese in cambio di una cospicua fornitura di diamanti con i quali risolleverà le dissestate casse della corona del Belgio e ingaggerà una milizia mercenaria con la quale eserciterà un totale controllo sui territori coloniali.
Un passo avanti al Lord di Greystoke sembra essere anche l'inviato del governo degli Stati Uniti d'America, George Washington Williams (Samuel L. Jackson), convinto che ci sia del marcio in Congo. Proprio lui riuscirà alla fine a convincere John a tornare in Africa, facendogli capire che i suoi cari (persone e animali) siano in pericolo e necessitino del suo aiuto. Anche sua moglie Jane Porter (Margot Robbie) vuole tornare in Africa, per rivedere i luoghi e le persone a lei cari e dare una mano, nonostante la riluttanza del marito.
Sappiamo quindi sin dall'incipit cosa accadrà in Africa: la trappola scatterà, Jane verrà rapita dal perfido Rom e Tarzan la inseguirà affrontando nugoli di accoliti delle forze coloniali che arrivano come se piovessero (ma sempre in svantaggio anche se in 20 contro uno), attraversando la giungla impenetrabile saltando spettacolarmente di liana in liana, venendo a patti con i demoni del suo passato e avendo come alleati i suoi vecchi amici africani, uomini e animali. Ovviamente sappiamo anche che Tarzan risolverà la situazione, salvando Jane e il Congo, facendo mangiare la polvere al cattivo.
Tarzan delle scimmie di Edgar Rice Burroughs è uno di quei personaggi buoni più o meno per ogni occasione. Contare gli adattamenti cinematografici, televisivi, fumettistici e ormai multimediali rischia di diventare un lavoro lungo e tedioso.
Si tratta di un personaggio fuori diritti, da sempre sinonimo di avventura, che ha avuto alterne stagioni di popolarità.
The Legend of Tarzan di David Yates tenta l'ennesima rielaborazione puntando allo spettacolo estivo mescolando ai vari elementi che nel tempo hanno contribuito al successo di Tarzan come avventura, luoghi esotici, animali selvaggi, amore ed erotismo, anche un po' di politicamente corretto.
La chiave di lettura "seria" di una storia che comunque punta a intrattenere è quella di evidenziare le colpe dell'uomo bianco nei confronti dell'Africa, pertanto così come accade in molti western revisionisti (evocati dal personaggio interpretato da Jackson), sono i personaggi bianchi gli unici veri cattivi del film, Tarzan e Jane esclusi ovviamente. E se non sono cattivi, gli altri personaggi bianchi sono ignavi complici, spinti dal desiderio di facili ricchezze.
Come ogni reinvenzione, attinge nella sua costruzione agli stilemi riconoscibili dagli spettatori dell'epoca in cui viene prodotto. Pertanto riconosceremo nella messa in scena un po' di avventura alla Indiana Jones e un po' di moderna concettualizzazione visiva del tema supereroistico.
Si tratta da un certo punto di vista di una chiusura del cerchio, visto che lo stesso Indiana Jones era ispirato alla "grande avventura". Tarzan affronta i suoi epigoni moderni usando sia parte del suo linguaggio, sia alcuni elementi del loro.
Il problema anche in questo caso è la miscela è gestita con professionalità, ma anche con molta freddezza. Tutto scorre senza una vera suspense.
La confezione è ad alto budget, scenografie e paesaggi mozzafiato, credibile ricostruzione d'ambiente e un'ottima fotografia con effetto luce naturale, ma la regia è piatta, con una sceneggiatura asservita al raggiungimento dei punti di svolta di ogni atto che avvengono nell'esatto momento in cui sono previsti. Senza sobbalzi. I dialoghi non riescono mai a uscire fuori dallo stereotipo. Il cast, tutto, recita al di sotto delle proprie potenzialità.
Ci si potrà passare un ora e mezza di scorrevole distrazione, ammirando due protagonisti più che attraenti, bei paesaggi e discreti effetti speciali. Di più non è il caso di pretendere.
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