Diane (Virginie Efira) è appena rientrata a casa quando riceve al telefono fisso una chiamata.
La voce di uno sconosciuto le dice di aver ritrovato il suo cellulare. La donna si ricorda a quel punto luogo e circostanze dello smarrimento. Durante un litigio con l'ex marito Bruno (Cédric Kahn), titolare insieme a lui di uno studio legale, ha perso le staffe ed è andata via senza riflettere.
L'uomo, dalla voce suadente e la parlantina intraprendente, le conferma di aver visto tutta la scena e di non essere intervenuto per ridarle subito il telefono per avere l'opportunità di invitarla, non senza farle i dovuti complimenti per la sua classe e avvenenza.
Incuriosita, Diane accetta di vedere l'uomo in un caffè. All'appuntamento scopre che l'uomo, di nome Alexandre (Jean Dujardin), è brillante, attraente e… alto un metro e 36 centimetri.
Le commedie sentimentali hanno come scopo quello di mostrare come sia possibile, o talvolta impossibile, superare l'ostacolo che impedisce a due persone di amarsi. Differenze di età, ceto sociale, censo, opinioni politiche etc etc.
In questo caso Diane e Alexandre provengono sicuramente da ambienti simili per censo e cultura. Sono entrambi due professionisti di successo. Anzi Alexandre è quasi un Archistar. Sono due persone ironiche e autoironiche. Insomma potrebbero stare molto bene insieme, se solo Diane e il mondo non si facessero fuorviare dal particolare dell'altezza di Alexandre.
Se, come e perché culminerà la storia d'amore ve lo lascio scoprire al cinema.
Un amore all'altezza è una commedia brillante e divertente come il vulcanico protagonista. Laurent Tirard è regista e co-sceneggiatore del film insieme a Grègoire Vigneron, basato su un film argentino mai arrivato oltre la sua nazione, dal titolo Corazón de León.
Il regista ha spiegato che la scelta di Dujarden è stata una scommessa paradossale, dovuta all'esigenza di avere intanto un ottimo attore per il ruolo, rispondendo all'esigenza di non fare un documentario sulle persone di bassa statura, bensì a quella all'intenzione di parlare "di cose importanti con leggerezza", facendo restare il film una commedia, mantenendo una "distanza poetica".
Tirard riesce nell'impresa perché gli effetti speciali che ricordano quelli che Peter Jackson ha usato per creare i suoi Hobbit, sono sfruttati con senso delle misura e sono parte della narrazione in un contesto realistico, non un'aggiunta pretestuosa. In molti casi più che ricorrendo al digitale, Tirard è riuscito nella sua impresa giocando con scenografie e prospettive delle inquadrature, "alla vecchia maniera" si potrebbe dire.
Il risultato merita attenzione, perché è una commedia ben scritta, ben recitata che vi fa uscire dalla sala con un bel sorriso stampato in viso senza ricorrere a melensaggini, riuscendo a essere garbata anche usando terminologie che oggi definiamo politicamente scorrette. Nel film infatti non si parla solo di "persone di bassa statura" ma si usa anche la parola "nano", idem per "sordo" al posto di "non udente", dimostrando che molte volte non è la parola in sé da stigmatizzare, ma l'intenzione con la quale è usata.
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