Forse non poteva esserci momento migliore per Tiziano Sclavi per fare il suo ritorno, in grande stile, sulla pagine della sua creatura prediletta, che il trentennale della nascita dell’Indagatore dell’Incubo. Trent’anni da quel settembre 1986 in cui usciva L’Alba dei Morti Viventi, un albo fuori dagli schemi, destinato a cambiare la percezione dei lettori (e degli addetti ai lavori) nei confronti dei fumetti in edicola. Forse fin troppo fuori dagli schemi visto che, come ormai quasi tutti sanno, i primi numeri di quella nuova creatura inizialmente furono un clamoroso buco nell’acqua: Dylan Dog non funzionava, al punto che un distributore si spinse a pronunciarne un prematuro epitaffio è morto in edicola
.
Invece, trent’anni dopo, Dylan Dog è ancora vivo e vegeto e continua a voler stupire il lettori, a provocarli, a spingerli a porsi delle domande.
Proprio questa è sempre stata una delle qualità migliori del personaggio (e delle storie): il fatto di non dare risposte, di non dare soluzioni semplici, consolatorie. Sclavi ripeteva spesso: i mostri siamo noi e Dylan Dog era nato anche per ricordarcelo continuamente.
Leggendo Dopo un Lungo Silenzio, però, verrebbe da cambiare un po’ quella celebre frase in i mostri sono dentro di noi. Il ritorno di Sclavi ai testi dell’inquilino di Craven Road, infatti, coincide anche con una delle storie più tormentate e personali mai scritte dall’autore.
Il tema, come già anticipato, riguarda l’incomunicabilità e per questo la Sergio Bonelli Editore, ha optato per una confezione molto particolare. Completamente bianca la copertina, senza disegni né immagini, solo il logo della testata e il titolo, con giusto una piccolissima concessione al far notare il ritorno di Tiziano Sclavi ai testi. Ma completamente bianco è anche l’interno: bianca la seconda di copertina, senza pubblicità di altri albi della casa editrice né alcun testo nella sezione degli arretrati; bianco tutto lo spazio dedicato al Dylan Dog Horror Club; bianca anche la pagina d’introduzione con la consueta immagine di Angelo Stano.
Nessuna introduzione, nessuna spiegazione, nessun accenno o indizio per accompagnare il lettore verso una storia che è un vero e proprio pugno nello stomaco.
Perché se di incomunicabilità si parla, a generare quell’incomunicabilità è l’alcolismo.
Sappiamo da sempre che Dylan Dog ha avuto, in passato, problemi con l’alcool e che adesso è astemio, ma nessuno, mai, ha approfondito quel tema. Probabilmente era destino che a farlo fosse proprio il papà di Dylan e che in questo numero ci riversasse dentro, come sempre è accaduto nelle storie migliori, una buona dose di suoi incubi personali, essendo lui stesso un ex-alcolista.
Dylan ha una nuova fiamma, Crystal, è felice, è innamorato (come sempre) e, per una volta, supera il segno. Di fronte alle insistenze di lei cede e accetta un bicchiere di vino. Che male c’è? In fondo è solo un bicchiere. E poi è felice. Forse dopo tutto quel tempo la malattia è passata.
Frasi, pensieri, giustificazioni, che si rincorrono nella mente del protagonista per autoconvincersi che si tratta di un caso isolato, che non accadrà più, che il peggio è alle spalle e non ricadrà più nel baratro.
E invece ben presto le occasioni, e le scuse, per potersi concedere un goccio e ben più di un goccio, aumentano.
La vicenda personale di Dylan, poi, si intreccia con quella di Owen Travers, un anonimo impiegato, a sua volta vittima dell’alcolismo, che ha perso sua moglie da circa due anni. Eppure Owen sembra convinto che sua moglie, Edith, non se ne sia mai veramente andata. Lui percepisce la sua presenza, lì in casa con lui, a volte gli sembra quasi di vederla, ma il vero motivo per cui si è rivolto a Dylan è che le parla, continuamente, ma lei non risponde. È il silenzio, quell’onnipresente e assordante silenzio a renderlo disperato. Farebbe qualsiasi cosa per poter comunicare con la presenza di sua moglie, anche rivolgersi a quello che i giornali definiscono un ciarlatano e un approfittatore della credulità della gente.
Dylan, inizialmente perplesso e dubbioso, accetta, con l’evidente solo scopo di cercare di dare un po’ di pace a un uomo distrutto. Sarà l’inizio di una discesa negli abissi della disperazione che hanno inizio sul fondo di una bottiglia. Mentre sempre più alti si fanno i muri che il protagonista inizierà a costruire attorno a sé per tenere lontani tutti coloro che vorrebbero aiutarlo. Attraverso Owen e Dylan, Tiziano tratteggia una vicenda che fa male al cuore e che colpisce per il realismo e la crudezza emotiva di certe situazioni.
Probabilmente nessuno meglio di Sclavi avrebbe potuto scrivere questo capitolo dell’Indagatore dell’Incubo e, probabilmente, a nessun altro sarebbe stato permesso di far fare certe cose o di far comportare Dylan come in questo albo. Perché quello che emerge, in alcuni frangenti, è un protagonista ben lontano da quello a cui i lettori sono abituati, eppure, proprio per questo, anche incredibilmente genuino.
A far coppia con Tiziano Sclavi, per un ritorno tanto atteso e importante, non poteva che esserci uno dei disegnatori che hanno firmato alcuni dei capitoli storici più apprezzati dell’inquilino di Craven Road: Giampiero Casertano. Il binomio Sclavi-Casertano ha dato alla luce numeri come il 10 Attraverso lo Specchio o il 18 Memorie dall’Invisibile (ancora oggi considerata come una delle sceneggiature più belle di sempre per un albo seriale).
Chi avesse in mente quegli albi, però, nel prendere in mano Dopo un Lungo Silenzio, potrebbe rimanere un po’ perplesso. Il tratto di Casertano nel corso degli anni si è modificato e un primo esempio l’hanno avuto i lettori che si fossero riavvicinati all’inquilino di Craven Road con il rilancio della testata: il numero 339 Anarchia nel Regno Unito, infatti, è opera sua e già lì si poteva vedere una netta differenza rispetto agli anni ’80. In questo albo il suo stile è ancora diverso, ulteriormente mutato rispetto a solo novembre 2014: meno splatter (ma d’altro canto neanche la storia si presta in questo senso), meno netto e, apparentemente, più indeciso. Il risultato finale, però, è estremamente adatto ai testi di Sclavi. Testi che, in molti casi, sono pressoché assenti; più che le parole, più che quello che i personaggi dicono, infatti, sono i silenzi, quello che viene taciuto e/o tenuto segreto. E proprio qui sta la bravura del disegnatore che presta, ovviamente, grande attenzione ai primi piani dei personaggi e alle espressioni, per far emergere tutte quelle emozioni interiori che Dylan, Owen, ma anche Groucho e Crystal, provano senza comunicarle a parole. Tristezza, sconforto, disperazione, vergogna, rabbia impotente. Casertano riesce a trasmetterle tutte grazie a uno stile forse più realistico che in passato, ma potente e perfetto per questo numero.
Il ritorno ai testi di Sclavi, purtroppo, rischia quindi di far passare un po’ in secondo piano il lavoro del disegnatore milanese che ha avuto l’onore, ma anche l’onere, di dare forma e immagini a questa storia.
Dopo un Lungo Silenzio, anche a causa del suo valore di eccezionalità, è stato scelto anche per essere il primo numero di una serie Bonelli a uscire contemporaneamente in diversi formati. Finora si sono viste riproposte di alcuni numeri e di alcune storie in grande formato, con copertina rigida, in edizione lussuosa da libreria, edite da Bao (Orfani, etc.) e dalla Bonelli stessa (La Quinta Stagione, etc.), ma si è sempre trattato di albi già usciti da diverso tempo. Accanto alla normale versione da edicola, completamente bianca di cui abbiamo parlato poco fa, i lettori e i collezionisti possono già trovare in libreria anche una versione in grande formato dalla caratteristica copertina nera. Oltre alla storia, inoltre, una serie di interessanti contenuti aggiuntivi e, soprattutto, l’intera sceneggiatura originale di Tiziano Sclavi dell’episodio, una vera chicca per gli appassionati (solo poche volte in passato è stato possibile leggere un documento simile, come con Memorie dall’Invisibile e Sette Anime Dannate). Oltre queste due versioni, vi è poi una terza, acquistabile esclusivamente attraverso Mondadori (sito e librerie), del tutto identica alla versione nera da libreria, ma con copertina variant che presenta un Dylan in piedi disegnato da Casertano su sfondo bianco.
Sclavi ritorna, dopo un lungo silenzio, a scrivere una storia del personaggio che ha creato. Ci torna dopo tanti anni di assoluto e assordante silenzio. Ci torna anche con una storia dura, importante, non facile, disegnata magistralmente da un Casertano mai così espressivo, che scuote le fondamenta di Dylan Dog e che mette in luce come l’indagatore dell’incubo abbia ancora tanto da dire. Tutto dipende da chi lo scrive, dalla capacità degli autori di mettersi a nudo e di sanguinare sulla pagina, perché, sembra volerci dire l’autore, le belle storie non possono che far soffrire e nascere dalla sofferenza.
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