- La banda di Knight
- Anarchia cinematografica
- Oh, che bella guerra!
- La guerra non finisce mai in silenzio
Gli anni della guerra di secessione americana sono caratterizzati da una serie indicibile di omissioni imbarazzate e cronache confuse. Buona parte delle pagine di storia sono state scritte infatti da gentiluomini ben avvezzi a cupe uniformi grigie o a spettrali cappucci a punta, individui notoriamente poco avvezzi al vedere oggettivamente la politica. È stato proprio il mistero che aleggia e maschera quegli anni che ha fatto innamorare il regista/sceneggiatore Gary Ross della figura mitica quanto romantica di Newton Knight, eroe e disertore oramai famoso solamente tra i degenti degli ospizi mississippiani, spingendolo a imbarcarsi in un lavoro decennale che è divenuto Free State of Jones.
La banda di Knight
1863, Newton “Newt” Knight è strappato ai suoi campi per la leva obbligatoria secessionista. Non è la sua guerra, non possiede piantagioni su cui lucrare né, tanto meno, schiavi che le coltivino, eppure lo stato del Mississippi pretende la sua presenza e quella di molti altri piccoli coltivatori. Nel frattempo, la “Legge dei venti negri” salvaguarda dagli orrori della guerra i giovani più facoltosi a discapito dei membri più giovani del popolino, creando una situazione per cui i poveri combattono la guerra degli abbienti. Quando il nipote quattordicenne gli muore affianco a causa del disinteresse del personale medico, Newt decide di abbandonare le fangose trincee per riportare la salma al capezzale materno, macchiandosi dell'onta mortale del disertore.
Dotato di una spiccata vena anarchica, Knight inizia a imbracciare il fucile per aiutare le matrone delle fattorie vicine, ormai sole e incapaci di opporsi ai soprusi delle milizie, meritandosi una spietata caccia all'uomo che lo porta a fuggire nelle malsane paludi alla ricerca di sostegno e rifugio. Nel frattempo la guerra inizia a prendere una brutta piega per le armate sudiste. Un numero sempre maggiore di disertori si riunisce nel sottobosco per formare la “banda di Knight”, un gruppo di disperati sorprendentemente partigiani che si destreggia in prodezze degne di Robin Hood.
L'impegno di Knight non si limita al tenere in scacco le armate ufficiali grazie a un manipolo di uomini con le caviglie a mollo in acquitrini pieni di sanguisughe, la sua influenza si fa sentire anche nel periodo successivo alla guerra fratricida, quando tutti sembrano ormai soddisfatti o rassegnati dagli esiti della battaglia. Le promesse di liberazione degli schiavi di Abraham Lincoln muoiono con un frastuono in un teatro di Washington e il sud ne approfitta per tessere nuove leggi che gli permettano di ritornare al passato schiavismo, seppur usando termini gergali diversi per schivare le problematiche politiche.
La crociata della famiglia Knight procede fino al 1948: Davis Knight, nipote di Newt, è ai ceppi, in attesa di essere giudicato per il suo matrimonio misto. Lui, “coloured” per un ottavo, non può unirsi alla sua amata (caucasica) senza contravvenire alle regole del Mississippi. Forzato dai suoi compatrioti a scegliere se rinunciare al suo amore o alla sua libertà, incarna tacitamente la battaglia di ogni afroamericano nei confronti di un sistema razzista.
Anarchia cinematografica
Se avete trovato la sinossi fastidiosamente prolissa, consideratela al pari di un allenamento per affrontare la pellicola. Prima di preoccuparsi dei dettagli tecnici, infatti, bisogna discutere del proverbiale elefante nella stanza: il film è un documentario che ha avuto paura di professarsi tale e si è malamente mascherato da opera di fiction. Gary Ross si è evidentemente documentato a fondo e si è fatto supportare dalla consulenza di storici americani, ma le nozioni accumulate sono state accoppiate a un approccio di fanatismo fanciullesco, generando una belva immonda disconosciuta dai genitori.
Preceduto dalla classica dicitura “ispirato a eventi realmente accaduti”, Free State of Jones si allontana dalla ricostruzione fedele degli eventi storici e ripercorre i passi di classici quali Schindler's List, ma finisce con lo scontrarsi con l'ostinazione del regista nel voler rappresentare l'ambiente sociale che spazia dalla guerra di secessione al governo Truman. Onoro gli intenti originari. Voler sottolineare le problematiche razziali in un mondo che cerca di nascondere sotto il tappeto le proprie vergogne è degno di stima, ma questi virtuosi intenti hanno paradossalmente impoverito le possibilità di immedesimazione del pubblico nell'offrire un universo che ha poche gradazioni tonali.
Incontriamo Newt già adulto, nel bel mezzo dei campi di battaglia. Non facciamo in tempo a conoscerlo che già diviene disertore. Una breve sosta per fornirgli spessore umano col primo di molti elogi funebri, quindi si balza nuovamente a seguirne le gesta con relative conseguenze. A esacerbare la situazione si sommano gli eventi del '48, inseriti in maniera brusca con fastforward privi di una qualsivoglia continuità con la trama principale. Ross ha molto da dire, insomma, ma lo fa con la sensibilità caratteristica di un tricheco ubriaco che esce a fare baldoria con un carpentiere.
Oh, che bella guerra!
Contrariamente da quello che si potrebbe evincere dal mio caustico commento, Free State of Jones dimostra numerosi pregi, soprattutto sul piano tecnico. La regia di Gary Ross è funzionale, non fa gridare al miracolo, ma il montaggio di Pamela Martin (Little Miss Sunshine) e Juliette Welfling (Regarde les hommes tomber) riesce a salvare la giornata offrendo un alternarsi di scene in grado di non annoiare nonostante la fragile struttura narrativa.
Matthew McConaughey (Interstellar, The Wolf of Wall Street) mastica costantemente la scena vestendo i panni di Newt, riconfermandosi abile attore sotto ogni punto di vista preso in analisi. Stando alle interviste pare infatti che l'attore si sarebbe prestato a buona parte delle riprese d'azione poiché le controfigure, incapaci di raggiungere i suoi standard fisici, si ritrovavano a rovinare le scene maggiormente dinamiche. Un plauso va anche al restante cast, tutto ottimo, seppur buona parte dei ruoli debba combattere per ricavarsi dell'esiguo spazio nel girato, scivolando senza troppa resistenza in secondo piano. Spiccano tra tutti per eccellenza Gugu Mbatha-Raw (Jupiter Ascending, Black Mirror) e Bill Tangradi (Breaking Dawn, Argo), rispettivamente la coprotagonista e un petulantissimo antagonista, viscido quanto vile.
La guerra non finisce mai in silenzio
Come accennato prima, il lavoro di Gary Ross ricorda per molti versi l'approccio che Steven Spielberg aveva adottato per trattare il delicato tema dell'olocausto, ma l'autore ha voluto stroppare inserendo quante più informazioni è riuscito a convertire in pellicola, dimostrando un'incapacità nel delineare dei chiari paletti narrativi. Come in tutti i suoi lavori passati, ci si trova a maneggiare un prodotto per nulla tremendo, ma per nulla memorabile o durevole. A conti fatti pare di avere a che fare con un video didattico filmato ad alto budget e pensato per gli studenti liceali statunitensi, troppo distratti per potersi seguire un'intera puntata di Super Quark.
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