Ci sono vari tipi di supereroi. Marvel o DC che siano, ci piace pensare che il bene vinca sempre il male, grazie a quei superpoteri che ciascuno di loro ha, sviluppati anche con fatica, con esercizio e tante tensioni per imparare a controllarli e usarli “per il bene comune”. Di contro ci sono “i cattivi”, magari con superpoteri anche loro, ottenuti con esercizio e altrettanta fatica, ma allo scopo di sfruttarli solo per il proprio tornaconto. È questa una possibile chiave di lettura di Sleepless, del regista svizzero Baran Bo Odar, remake hollywoodiano del francese Nuit blanche di Frédéric Jardin, uscito nel 2011.
Sleepless – Il Giustiziere è l’avventura a ritmo serrato di un poliziotto del Las Vegas Metropolitan Police Department, Vincent Downs (Jamie Foxx). Avendo sottratto una partita di cocaina all’imprenditore corrotto Stanley Rubino (Dermot Mulroney), associato con il figlio di un potente boss, il gangster Rob Novak (Scoot McNairy), Downs deve restituire la droga se vuole riavere il figlio preso in ostaggio, cercando di tenere fuori dal guaio la ex moglie (Gabrielle Union) e, nel contempo, di non essere arrestato da poliziotti "veri" e corrotti nel caos di uno sfavillante quanto fosco locale notturno a Las Vegas, il Luxus.
Alle sue calcagna c’è soprattutto Jennifer Bryant (Michelle Monaghan), investigatore degli Affari Interni insieme al collega Doug Dennison (David Harbour), per un inseguimento ad alta tensione e sangue a fiumi fino allo scontato epilogo.
Perché scontato? Presto detto: siamo di fronte a un film dalla trama vista e rivista, prevedibile, fin troppo prevedibile anche nel tentare di confondere per quel minuto e mezzo le aspettative. Quantomeno, però, è un film ben confezionato, checché se ne voglia fare a tutti i costi il confronto con l’originale. Ben realizzato, con un ottimo cast di attori e un serio team tecnico, dalla sceneggiatura (Andrea Berloff), alle scenografie (Tim Grimes), i corpo a corpo (Jeff Imada), alla fotografia (Mihai Malaimare Jr) alla colonna sonora (Michael Kamm).
Se è un remake ne è un’interpretazione, una possibile chiave di lettura. Se ci spostiamo a Las Vegas, dobbiamo aspettarci l’orgoglio americano profuso a ogni occasione, la presunta superiorità della giustizia bianca (e la razzista intolleranza per il puzzo della coppia di poliziotti neri che si occupa dello stesso caso), i giochi di potere, gli intrighi sottobanco, la corruzione in ogni angolo di quella presunta giustizia di cui sopra, ben più fosca di qualsiasi pelle afro.
Bo Odar non avrà realizzato IL film della propria carriera, Jamie Foxx e nessun altro del cast saranno candidati all’Oscar per questa pellicola, ma è innegabile la serie di problematiche che la storia possa sottoporre allo spettatore, a prescindere che questo possa immedesimarsi in uno dei protagonisti (augurandogli, complessivamente, di no): le priorità della vita, quanto valga la pena rischiare la pelle per il lavoro avendo una famiglia a casa che chiede attenzione e presenza, quanto valga la pena sporcarsi con certi ambienti solo per soldi o ambizione, quante maschere si riesca a portare, e in nome di cosa. Se in nome della giustizia si può essere più comprensivi e anche orgogliosi, ma se è in nome del male di cui parlavamo all’inizio, ci viene ancora più voglia di contare sull’arrivo di un supereroe che, in qualche modo, aggiusti le cose.
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