C'è sempre una dicotomia tra storia ufficiale e storia reale. Le storie reali emergono poi nel tempo, dopo essere state sussurrate a lungo, conosciute da pochi.
Grazie al libro Hidden Figures: The Story of the African-American Women Who Helped Win the Space Race di Margot Lee Shetterly, tradotto in italiano con il titolo Il diritto di contare, è venuta a galla la storia della matematica afroamericana Katherine Johnson, genio precoce che diede un fondamentale apporto alla NASA per il calcolo delle traiettorie per il Programma Mercury e la missione Apollo 11, di Dorothy Vaughan, prima direttrice del centro di calcolo della NASA, e Mary Jackson, prima ingegnere donna nera in forza alla stessa agenzia.
Se nel 1961 c'era la comprensione di quali leggi della fisica e della matematica fosse necessario sapere per inviare l'uomo nello spazio, uno dei tanti problemi era calcolare con la precisione necessaria come fare andare e tornare le capsule che avrebbero mandato gli astronauti in orbita.
Gli Stati Uniti erano sotto choc per aver perso la corsa per mandare sia il primo manufatto che il primo uomo nello spazio. Infatti l'Unione Sovietica aveva inviato in orbita: il primo Sputnik il 4 ottobre 1957; il primo essere vivente, la cagnetta Laika, il 3 novembre 1957; l'astronauta Yuri Gagarin il 12 aprile 1961.
Tutto questo mentre la NASA stava ancora mettendo a punto tecnologie, uomini e mezzi nel programma Mercury. Nuovi calcolatori vennero messi a punto sulle specifiche richieste dall'agenzia spaziale, nuove tecnologie di costruzione dei velivoli dovevano risolvere problemi inediti.
Il diritto di contare non racconta solo, e mirabilmente, della sfida alle leggi della matematica e della fisica, del passaggio dai calcolatori umani ai calcolatori elettronici programmati da umani, alla risoluzione dei problemi strutturali e tecnologici delle capsule, ma anche la storia di tre donne di grande intelligenza che pagavano lo scotto di vivere nella Virginia del 1961 (Langley, dove era situata una delle sedi della NASA). Donne che in quanto tali subivano atteggiamenti sessisti, e razzisti in quanto nere, in uno stato che non accettava l'abolizione della segregazione razziale attuata da provvedimenti statali e sentenze di varie corti nel secondo dopoguerra.
Quello che emerge con molta chiarezza dalla storia raccontata, è che l'emancipazione da sessismo e razzismo di Katherine Johnson (Taraji P. Henson), Dorothy Vaughan (Octavia Spencer) e Mary Jackson (Janelle Monáe) non è passata attraverso gesti eclatanti, marce e sit-in. Le tre donne, insieme a parecchie afroamericane, sono entrate nella NACA (National Advisory Committee for Aeronautics), embrione di quella che sarebbe poi diventata la NASA, già a cavallo della fine degli anni '40 e i primi anni '50. La loro affermazione professionale e umana è stata poi funzionale ai successi dell'Agenzia.
Il momento storico, l'impellente necessità di ottenere dei successi dopo gli schiaffi subiti dai russi, ha portato per pragmatismo ad accettare il loro contributo, rendendo la NASA una delle prime aziende con impiegate di alto profilo professionale.
In tal senso alcuni aneddoti raccontati nel film non mostrano affatto alti dirigenti della NASA, come Al Harrison (Kevin Costner), impegnati in crociate sui diritti civili. Però di fatto, affermando per necessità di lavoro che ambienti di lavoro e persino servizi igienici separati per colore della pelle, non avessero senso ("Alla NASA la pipì non ha colore"), è stato stabilito un progresso nei diritti civili.
Possiamo annoverare quindi il superamento della segregazione razziale e l'affermarsi delle pari opportunità tra le ricadute quasi involontarie dell'immane sforzo del programma spaziale, in aggiunta ai progressi del XX secolo che poi hanno portato l'Apollo 11 sulla Luna?
Difficile dirlo in questi tempi in cui sembra che tutto, anche i progressi scientifici, non solo quelli sul fronte umano, sembrano essere messi in discussione da riflussi di ignoranza. Effetto deleterio dei corsi e ricorsi della storia.
Il film racconta, per amore di precisione e di dettaglio, la fase che ha preceduto la missione che poi ha portato John Glenn in orbita, il 20 febbraio 1962, primo astronauta statunitense. Accenna vagamente, con alcune scene dell'infanzia di Katherine Johnson, al fatto che il suo genio precoce le valse alcuni vittorie contro la segregazione, come l'accesso a scuole di alto livello, fino a quel momento precluse ai neri.
Il diritto di contare non è quindi la storia di tre pasionarie, bensì di tre donne che partendo dal loro diritto individuale di affermazione professionale, sono arrivate a costituire tuttora un esempio per tutti coloro che devono superare più di un ostacolo, legato a sesso o colore della pelle.
In una scena Dorothy Vaughan guarda come spettatrice della manifestazioni anti-razzismo, come se non le appartenessero, ma il solo fatto di cercare di fare il suo lavoro l'ha posta poi su un'altro fronte delle stesse barricate.
Anche il desiderio di Mary Jackson di specializzarsi in ingegneria darà il via, per motivazioni del tutto personali, a una battaglia che poi finirà in tribunale, affermando un principio e costituendo un precedente che la farà accedere a un corso riservato ai bianchi (maschi tra l'altro).
Sono tutti fronti duali quelli del film. Il doppio ostacolo di essere donne e nere.
La narrazione scaturisce dal conflitto che tre intenzioni del tutto personali portano sul fronte sociale.
Al film non manca qualche momento di enfasi e retorica, meno che in altri prodotti. Non difetta neanche il racconto della scienza, più vero che verosimile.
Un appunto finale sul titolo originale: Hidden Figures è un interessante gioco di parole, perché in inglese le significant figures sono quelle che in italiano vengono dette le cifre significative. Si gioca quindi sul fatto che in due contesti diversi si usi la parola figure, che è sia cifra numerica che personaggio importante dal punto di vista storico. Le tre donne, da "cifre poco significative", da figure nascoste della storia, sono diventate invece primarie.
Questo gioco intraducibile è stato cambiato con intelligenza nella traduzione del titolo, riportata poi nella traduzione del romanzo, arrivato in questo periodo in Italia, perché Il Diritto di Contare è pertinente alla doppia valenza della storia, di come narri che l'affermazione dei diritti delle protagonista sia passata per la volontà di lavorare per una scienza ritenuta a torto fredda e lontana dalle cose umane come la matematica.
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