Preambolo
Ho sempre amato il mare, soprattutto d’inverno.
Lo guardavo dal mio rifugio tra gli scogli, seduta su un tronco rinsecchito dalla salsedine.
Quando il mare era in burrasca risalivo il promontorio, raggiungendo il vecchio faro. Ero solita restare tutto il giorno seduta davanti a una delle finestre, vagando con la mente, ascoltando il ricordo di mia madre che svelava la mia vera natura.
“Sasha, voglio confidarti un segreto. Credo tu sia abbastanza grande da non dirlo a nessuno. Noi abbiamo la magia nel sangue!”
Guardando le onde impetuose trascinare via tutto, ho desiderato molte volte che il mare avesse lo stesso potere sui miei ricordi. Eppure, pensandoci ora, se la mia memoria fosse sparita, io non sarei la stessa persona, non avrei più nulla da inseguire. Se i miei ricordi fossero scomparsi, cosa ne sarebbe stato della mia vita?
Nonostante tutto, non voglio perdermi, non voglio essere diversa da quella che sono, perché tutto il dolore che ho vissuto, mi ha reso forte. Mi ha resa la persona che i rinnegati temono.
Io sono Sasha Adams e sono una guardiana.
Prefazione
Cinque anni prima
L’alba stava sorgendo sulle montagne, alle spalle della città di Hazakash, la luce di Sol si rifletteva sugli alti picchi innevati. Un uomo era fermo davanti alla finestra del suo studio ad ammirare lo spettacolo che la natura gli stava mostrando, fece scorrere lo sguardo sul filare degli alberi di limoni che aveva fatto arrivare dalla Terra, i frutti gialli erano maturi e presto sarebbero stati raccolti, nonostante le imposte fossero chiuse poteva avvertire nell’aria il loro profumo, era una delle poche cose che aveva apprezzato degli anni trascorsi dall’altra parte.
Un lieve bussare lo riportò al presente.
– Padrone, il sacerdote Sergey è arrivato – annunciò Havier, facendosi da parte per lasciarlo entrare.
– Fallo accomodare e lasciaci soli.
La porta si richiuse con discrezione lasciando soli i due uomini.
– Benvenuto Sergey, spero porterai notizie migliori dell’ultima volta. – L’uomo abbandonò la sua posizione davanti alla finestra per raggiungere la poltrona dietro la scrivania.
Quella stanza era un rifugio, un santuario, il centro nevralgico dove tutto aveva avuto inizio, le ricerche, i piani, lo sviluppo della fitta rete di spie e rinnegati che erano stati assoldati negli ultimi anni per una caccia che affascinava molti, ma che solo pochi potevano permettersi di intraprendere.
Le pareti bianche e spoglie si abbinavano ai rari mobili dalle linee semplici e pulite. Una scrivania, due poltrone, una libreria, ma quello che catturava l’occhio era una cartografia che occupava un’intera parete e rappresentava tutta Yggdrasil.
Padre Sergey si avvicinò titubante alla scrivania.
– Mio signore, purtroppo sono latore di cattive notizie, nonostante le ricerche e l’ausilio della medicina terrestre, la malattia sebbene mostri segni di rallentamento non accenna ad arrestarsi. – La voce tremava appena e quando ebbe finito di parlare fece un passo indietro, era stato un gesto istintivo a cui non poteva porre rimedio, con timore alzò lo sguardo verso il suo signore.
– Non avere timore, Sergey, non intendo punirti per il tuo insuccesso, almeno non oggi. Cosa devo aspettarmi? E ti prego, non essere restio nel darmi queste informazioni, sarebbe molto irritante – lo schernì avvicinandosi fino quasi a invadere il suo spazio personale.
– Da quello che abbiamo appurato sullo sviluppo della malattia possiamo presumere che abbiate ancora alcuni anni a disposizione, sempre che le pozioni e i medicamenti continuino ad avere l’effetto attuale. Se così non fosse – l’uomo fece un sospiro e con cautela continuò – la malattia attaccherà per primi i nervi motori, con paresi da principio brevi per poi divenire sempre più importanti e si estenderà ai nervi facciali… – Abbassò lo sguardo, non riusciva a reggere il confronto con il suo signore, ritrovandosi a spostare il peso da un piede all’altro ansioso di lasciare quella dimora.
Il suo signore non era famoso per la magnanimità con cui accoglieva le cattive notizie.
– Continua, Sergey – lo incitò l’uomo allontanandosi; andò alla libreria e da un cassetto trasse una bottiglia di liquore e un bicchiere, lo riempì una prima volta per svuotarlo in un colpo, lo riempì una seconda volta ma lasciò integro il liquido ambrato preferendo sorseggiarlo nell’attesa che il sacerdote continuasse.
– In seguito le paresi potrebbero estendersi alle terminazioni nervose del cervello, alterandone la chimica. Questi squilibri avrebbero gravi conseguenze: sbalzi d’umore, perdite di memoria, irritabilità. – Fece una pausa per vedere l’effetto che le sue parole avevano avuto, infine riprese: – Alla fine nella migliore delle ipotesi ci sarà la morte.
– E nella peggiore? – chiese bevendo un altro sorso.
– Uno stato vegetativo prolungato. – Padre Sergey abbassò lo sguardo. – Purtroppo di questa malattia se ne erano perse le tracce da oltre duecento anni, e i rimedi applicati, riportati negli archivi del Santuario di Azrael, sono inefficaci con questo ceppo. Forse, con una dieta variegata e senza eccessi potreste favorire i nostri rimedi, mio signore.
– Puoi andare Sergey, voglio ringraziarti per la sincerità e ti chiedo di rendere i tuoi preparati i più forti possibili per garantirmi la lucidità necessaria – disse voltando le spalle al sacerdote e tornando a guardare il panorama fuori dalla finestra.
La porta venne aperta lasciando entrare Havier e facendo uscire padre Sergey.
– Hai sentito Havier. – La sua non era una domanda, bensì un’affermazione. Voltò le spalle alle montagne velate d’azzurro, camminò verso la cartografia e fissò i punti segnati da alcuni magneti. – A quanto sembra il destino non ci è favorevole. Non abbiamo molto tempo. Che notizie ci sono di Arin?
– Nessuna mio signore, sembra scomparsa nel nulla.
– Dobbiamo presumere allora che forse Maline, sua sorella, sappia dove si trova oppure sia in grado di fornirci le informazioni che ci servono – riempì ancora una volta il bicchiere e lasciò che il liquido ambrato gli bruciasse la gola.
– Dal promontorio di Skull hanno fatto rapporto, hanno trovato la sesta porta – riferì Havier passandogli un piccolo magnete.
– Sei porte su nove. Con quella per Midgaard siamo a sette. Ne mancano due, dove saranno? – si domandò l’uomo ponendo al centro del promontorio il magnete.
– Le ricerche continuano, signore.
– Le chiavi? – chiese consapevole della risposta che avrebbe ricevuto.
– Non abbiamo tracce – disse Havier, guardò quell’uomo che aveva il suo stesso sogno e che ora si vedeva sfuggire il tempo tra le mani come fosse il protagonista di una pessima commedia.
– Quindi, con ogni probabilità, quanto riferisce il prigioniero è vero, serve la chiave di Midgaard per trovare le altre – constatò l’uomo avvicinandosi alla cartografia.
– La situazione attuale confermerebbe la veridicità delle vostre parole, signore.
– Voglio che abbia inizio la sorveglianza di Sasha Adams, spero non sia necessario coinvolgerla, ma preferisco essere pronto. – Pronunciò a fatica quelle parole, quasi rammaricato.
– Ai vostri ordini, signore. Se posso permettermi, siete sicuro? – chiese spostandosi in modo da poterne cogliere l’espressione del viso.
L’uomo guardò il suo braccio destro. – Havier, non m’interessa cosa devo fare, chi devo uccidere o torturare, raggiungerò gli Aesir e una volta lì reclamerò ciò che anelo da dodici anni, sei mesi e venti giorni. Tu hai cambiato idea? – chiese scrutandolo attentamente in viso.
Havier sostenne il suo sguardo. – Assolutamente no. – La sicurezza della sua affermazione non lasciò alcun dubbio.
– Bene, ora prendi carta e penna, nel caso la sorte fosse più bastarda di me intendo fare testamento.
Nell’attesa si avvicinò ancora di più all’immagine che era diventata il perno della sua vita, scandendo ogni respiro e ogni azione. Tracciò con un dito una linea immaginaria che congiunse i due punti che attraversavano la catena montuosa dello Ymir, proseguì nel suo percorso fino a raggiungere la capitale Azrael per continuare verso le miniere di Har, toccò l’isola di Gryllir e il promontorio di Skulld e infine si fermò nel mezzo dell’oceano di Oski.
Se qualcuno avesse unito i punti con una matita vi avrebbe visto ciò che gli umani chiamavano l’albero cosmico, Yggdrasil.
Mancavano solo due porte, ma presto le avrebbero trovate, e con esse anche le nove chiavi, perché nulla avrebbe potuto fermarlo.
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