Naufragato in un’isola deserta un uomo, di cui sappiamo ben poco e poco importa, si confronta con se stesso e con la Natura, a volte disarmante e selvaggia. Il primo istinto è quello di fuggire, di tornare a una civiltà, di cui possiamo solo immaginare i tratti.
La difficoltà maggiore per l’uomo è la solitudine, l’incapacità di vivere soli, l’impossibilità di confrontarsi, da ciò la ricerca della fuga dal non conosciuto e possibilmente pericoloso, dalla disperazione. Quasi ci fosse un disegno, non si sa di chi, o cosa l’abbandono dell’isola sembra impossibile. Interviene, come facile deus ex machina, l’apparizione di una donna ad alleviare le sorti del naufrago. Ovviamente nasce l’amore e da ciò un figlio. La vita sembra serena ma è solo la quiete prima della tempesta: uno tsunami devasta l’isola, il padre sembra sperduto, ma è solo stato sbalzato lontano dalla riva e la madre viene ferita.
Quindi sarà il figlio a ricostituire la famiglia, a fare da collante. Lo tsunami sembra rappresentare non solo il confronto fra generazioni, che inevitabilmente si devono avvicendare, ma anche la cerimonia di ingresso al mondo degli adulti, quindi l’affrancamento dall’influenza e ingerenza dei genitori. La presa di coscienza del ragazzo lo spingerà a cercare la propria identità e la propria indipendenza. Il figlio saluta i genitori, i quali rimangono sull’isola. Nessuna necessità e nessun rigurgito di desiderio di civiltà emergono nel padre (la madre sente meno tale necessità probabilmente per il suo passato, non dirò altro per non rischiare vituperati spoiler), la sola e unica vita familiare appaga la coppia, fino alla morte di lui e al ritorno in mare di lei.
Il film, che vede la compartecipazione di Francia, Belgio e Giappone nella produzione, visivamente è molto bello, molto poetico. Anche le musiche di Laurent Perez sottolineano con eleganza i vari momenti e passaggi del film, in cui non pesa l’assenza di parole. Le immagini comunicano tutto. I disegni, anche se non perfetti, sono molto efficaci. Le ambientazioni creano una suggestione che aiuta la sospensione dell’incredulità.
Purtroppo la storia, pur se poetica, non è ben sviluppata. Stavolta il regista Michaël Dudok de Wit, premiato dall’Academy award per miglior cortometraggio Father and daughter, non riesce a dare profondità e struttura a un argomento a lui caro: le relazioni familiari. I temi presentati (il bisogno di socialità per esempio, il confronto padre-figlio, il rapporto figlio-madre), vengono gestiti in modo superficiale. Il film non è per bambini e non riesce ad appagare gli adulti, un vero peccato per delle capacità notevoli come quelle in gioco.
Aggiungi un commento
Fai login per commentare
Login DelosID