Visto che siamo in un sito di appassionati l'avviso è d'obbligo.
Dimenticatevi, nel bene e nel male del manga e dell'anime originali di Masamune Shirow. Ghost in the Shell di Rupert Sanders è certamente un omaggio a quel mondo, a quei personaggi e a tutto quello che ne consegue. Ma è veramente un'altra cosa.
Se avete superato Scarlett Johansson significa che vi interessa saperne di più, partendo dal presupposto che sto recensendo il film per quello che è, non per le aspettative di un fan.
La storia che il film racconta è quella del Maggiore Mira Killian, un cyborg in forza alla Sezione di Sicurezza Pubblica numero 9, un gruppo di poliziotti che agiscono con ampia libertà contro hacker e criminali informatici che agiscono con tecniche sofisticate. C'è un rapporto stretto tra la Sezione 9 e la Hanka Robotics, non fosse perché la multinazionale non solo è responsabile dell'innesto del cervello di Mira nel corpo cyborg, ma perché potenzia i vari agenti della squadra con ogni sorta di upgrade.
La Hanka è sotto il mirino di un misterioso terrorista, capace di entrare più o meno in qualsiasi sistema, compiendo attentati nei confronti di scienziati e alti dirigenti.
Nell'indagare sulle malefatte del personaggio, Mira e i suoi compagni di squadra scopriranno che, come spesso capita, dietro le apparenze c'è di più.
Ma la vita "lavorativa", sempre che una donna con un corpo robotico possa avere altra vita al di fuori del lavoro, non è l'unico problema di Mira. Misteriosi glitch sembrano emergere nel codice della sua memoria, provocandole allucinazioni visive e uditive. Sono echi della sua perduta vita passata, della quale non ricorda nulla? Difetti nel codice?
Forse ci sono connessioni che la stessa Mira non riesce a immaginare.
Diciamolo chiaramente. Il futuro immaginato da Ghost in the Shell, ispirato alle visioni cyberpunk degli anni '80 e '90 è ormai un retrofuturo. Una proiezione portata all'eccesso della visione fantascientifica dell'epoca.
La regia di Rupert Sanders non omaggia il linguaggio cinematografico d'epoca, bensì aggiunge le suggestioni visive che il cinema ha aggiunto al genere in questi anni. Il risultato è un film che, a occhi disinformati, appare epigono quando invece il materiale originale era seminale.
Il cast, tra comprimari, antagonisti e co-protagonisti, è praticamente al servizio della Johansson che, com'era immaginabile, regge tutto il film dando credibilità all'operazione. Solo Takeshi Kitano ha un lampo di personalità, per fortuna, che mette sotto i riflettori sia pur per poco, un personaggio che invece era schiacciato sullo sfondo come tutti gli altri. Che qualcuno abbia pietà dei poveri sgherri mandati in tre a combattere contro un qualsiasi personaggio di Kitano. Anche interi eserciti sono troppo poco.
Ghost in the Shell non è un'occasione persa, bensì l'inizio di un potenziale nuovo franchise cinematografico, da considerasi come una libera interpretazione della sua fonte. Come accade a tutti gli adattamenti cinematografici.
Il lontano eco delle idee fantascientifiche alla base in questo film è invero molto più labile del Ghost, di quell'anima che permane nel corpo cyborg, vero MacGuffin dell'intera saga originale, ma c'è ancora.
La conclusione è che siamo davanti a un buon film d'azione, che dura il giusto, confezionato con molta attenzione allo spettacolo e non moltissima allo spessore dei personaggi. Divertimento allo stato puro.
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