Frank Kitchen è il nome falso di un sicario che vive nell’ombra e si sposta da una città all’altra soggiornando in loschi hotel e passando il tempo nel letto di donne conosciute tra una bevuta e l’altra. La sfortuna vuole che una delle sue vittime sia il fratello della dottoressa Rachel Jane, brillante chirurgo radiata dall’albo a causa di un’etica non proprio integerrima, e finita a praticare costosissime operazioni sotto banco. La donna, al vertice di un impero finanziario, decide che la punizione di Frank deve essere una condanna sadica quanto filosofica e lo sottopone, suo malgrado, al cambiamento di sesso. L’uomo si sveglia solo e fasciato da luride bende in una camera d’albergo e, disperato, constata che il suo riflesso è ben diverso da come lo ricordava.
Walter Hill fa parte di quella generazione di registi e sceneggiatori entrati nel mito negli anni ’80 grazie a titoli come I guerrieri della notte, 48 ore, Danko, ma che al pari di molti attori di quell’epoca hanno vissuto un inesorabile declino nei ’90 e nella prima decade dei 2000. Oggi, però, ritornati sulla piazza grazie al rinnovato interesse verso un modo un po’ vintage di fare cinema, propongono al pubblico pellicole tutt’altro che datate: pensiamo a George Miller con Mad Max: Fury Road e, in modo un po’ meno plateale, a Walter Hill con questo Nemesi. Se è vero che siamo ancora nel campo dell’action e, più precisamente, nel sottogenere della “storia di vendetta”, non bisogna però confondere il cambiamento di sesso dell’eroe nel film di Hill, con un’operazione molto in voga oggi, cioè quella di usare una protagonista femminile al posto di uno maschile solo per mischiare un po’ le carte in tavola. Spesso il fatto che il character principale sia una donna cambia l’estetica dello spettacolo ma non la sostanza dell’azione e alla fine non c’è molta differenza che il protagonista si chiami Jason Bourne o Alice in Resident Evil.
Walter Hill invece, che è anche sceneggiatore di Nemesi, intreccia crime story ad un discorso sulla differenza di genere che davvero poche pellicole hanno intrapreso con tanta naturalezza. Prima di tutto sceglie come protagonista una diva che tutti sanno essere donna, Michelle Rodriguez e, anche grazie all’uso del digitale, la mostra nuda sotto la doccia come uomo, non cancellando però del tutto i suoi caratteri femminili come fianchi e gambe. Nella mente dello spettatore esplode un corto circuito che non si risolve neppure quando la Rodriguez diventa donna, mantenendo inalterato il suo atteggiamento da macho. Non è un caso poi che anche Sigourney Weaver, rivale dell’eroe/eroina e dottor Frankenstein della chirurgia plastica, abbia evidenti caratteri androgini. La decisione di modificare il sesso di Frank è, a dire del medico, legata al convincimento di volergli dare una seconda possibilità per redimere una vita da killer poiché, in quanto nuovo essere, può decidere di cambiare il suo modo di agire.
Ma è qui che vuole andare a parare il film: che sia uomo o donna Frank è ovviamente sempre se stesso. Se l’estetica del suo corpo è cambiata di sicuro non si è modificato ciò che lui è realmente, il suo io. Per dirla in altre parole è la coscienza di sé, il come ci percepiamo a dire chi siamo e non la semplice biologia. Tuttavia, esplorando le potenzialità del suo nuovo involucro, Frank inizia a scoprire anche cosa vuol dire essere donna, dando il via alla sua trasformazione verso qualcosa di nuovo che, speriamo, al cinema porti a un franchise.
Aggiungi un commento
Fai login per commentare
Login DelosID