E venne anche il turno di Blade Runner di diventare un franchise.
Seguito del film di culto del 1982 diretto da Ridley Scott, Blade Runner 2049 è ambientato appunto 30 anni dopo e non solo presenta una nuova generazione di replicanti e un nuovo cacciatore, ma ne collega la storia alle sorti dei protagonisti del primo film Rick Deckard (Harrison Ford) e Rachael (Sean Young), raccontandoci cosa è successo loro dopo la romantica fuga che lo concludeva.
Tutto nasce da un caso seguito dall’agente K della squadra Blade Runner della polizia di Los Angeles (Ryan Gosling), il cui compito è rintracciare i modelli di replicanti fuorilegge, i pericolosi Nexus 8s.
Quando K uccide uno di questi replicanti, Sapper Morton (Dave Bautista), il cui unico scopo nella vita era farsi gli affari suoi, letteralmente disseppellisce dal passato un segreto che alcuni vorrebbero dimenticato per sempre, come Madame (Robin Wright, il capo di K), mentre altri vorrebbero possederlo per i loro scopi, come Niander Wallace (Jared Leto), successore della Tyrell Corporation nella costruzione di replicanti “più umani dell’umano”.
Con il solo aiuto di Joi (Ana de Armas), una AI molto propensa ai sentimenti, e braccato dalla temibile Luv, replicante personale di Wallace (Sylvia Hoeks), K vaga per la solita metropoli sotto la solita pioggia, anzi no, sotto le nevi quasi perenni ormai di un inverno radioattivo infinito, per deserti e discariche, imbattendosi nella più varia umanità, più artificiale che naturale, come la prostituta replicante Mariette (Mackenzie Davis) per scoprire non solo la soluzione dell’enigma ma, alla fine, anche se stesso.
Denis Villeneuve dirige questo sequel seguendo la sua personale cifra stilistica dandogli la propria impronta, componendo un racconto per immagini raffinato e poetico. Racconta con la luce, con grandi scenografie e campi lunghi e lunghissimi, con un montaggio capace di alternare i momenti di calma alle serrate scene d’azione.
Di contro la sceneggiatura non sfugge agli stereotipi, sia nella caratterizzazione dei personaggi, privi di alcuno spessore che non sia il loro carattere principale, che nei dialoghi, aderenti a questa visione volta alla sintesi estrema e alla rarefazione della narrazione.
Raramente capita una dicotomia così forte tra l’autentico capolavoro visivo messo in scena e la piattezza narrativa di storia e personaggi.
Blade Runner 2049 è un film in cui un'ambientazione imponente e suggestiva divora completamente tutto il resto. Villeneuve è abile nel fare trasparire amore per l’universo narrativo che Hampton Fancher (già co-sceneggiatore del primo film insieme a David Peoples) e Michael Green hanno plasmato ispirandosi liberamente al romanzo Il cacciatore di androidi (Do Androids Dream of Electric Sheep?) di Philip K. Dick e non solo lo dissemina di inside joke, ma anche di autentici fan service.
Non mancano raffinatezze cinefile e letterarie, come lo stesso nome del protagonista K, e citazioni non solo dell'originale ma di classici del cinema noir.
Se il primo film poteva sostanzialmente non avere seguiti (anche se ne ebbe in forma libraria a opera di K.W. Jeter), questo film lascia aperte troppe parentesi perché sia un errore, confermando quanto dichiarato dal produttore Ridley Scott in merito alla possibilità che Blade Runner diventi un franchise.
Le potenzialità ci sono tutte. I 163 minuti del film scorrono e non annoiano, pertanto il responso del botteghino potrebbe essere questa volta più favorevole di quello che ebbe il suo predecessore nel 1982, che pur era un capolavoro assoluto.
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