Il co-creatore di Dragonero, Stefano Vietti, si è reso disponibile per rispondere ad alcune domande, incastrando con grandissima disponibilità il nostro incontro tra una presentazione pubblica e il suo turno nella sessione di firme.
Avete proposto fin da subito una mappa dell’Erondàr molto estesa e dettagliata. Però nelle storie compaiono spesso luoghi non evidenziati dall’illustrazione tipica pubblicata sugli albi. Quando vi serve un’ambientazione specifica, la create ad hoc in base alla storia oppure tu e Luca avete una macro-mappa più precisa che consultate in base alle necessità?
Sì, la teniamo appesa davanti al computer dove lavoriamo, tutta appuntata di spilli colorati: rosso, i luoghi già visitati, verdi dove andiamo, gialli quelli ancora da esplorare, così riusciamo a regolarci senza perderci.
Da quando esistono le versioni “young” dei protagonisti? Siccome capitano sempre più frequentemente nei flashback, li state sviluppando di più ora che è in lavorazione la serie Adventures, oppure li conoscevate bene fin dal principio?
Normalmente quando si crea un personaggio in realtà si scrive tutta la sua vita. Più personaggi abbiamo a disposizione, più vite create fin da principio, possiamo già sapere quando si incontrano. In modo tale un personaggio come Ian che ha oltre trent’anni, ha già un background solido e permette a me e a Luca Enoch di sapere cosa ha vissuto, per cui i flashback sono già stati decisi e tutto risulta più coerente. Poi, quando abbiamo visto che i capitoli dedicati alla gioventù dei protagonisti funzionavano bene, abbiamo deciso di espanderli. Il fatto che i flashback sullo Ian giovane abbiano uno stile uguale a quello che vediamo sull’Adventures è una coincidenza perché il disegnatore è lo stesso per entrambe le testate: Riccardo Crosa.
In questo modo però è anche più facile distinguere la storia principale dell’albo regolare dal flashback attraverso questo netto cambio di stile di disegno.
Lo abbiamo fatto apposta, anche per introdurre visivamente quello che si vedrà su Dragonero Adventures.
Parliamo di Lucca: in uno dei documentari presentati nella mostra dedicata a Dragonero dite che la serie è nata dalla passione tua e di Luca per il genere fantasy molti anni fa, in una trattoria, quando vi siete incontrati per la prima volta in città in occasione della fiera. Lucca vi è stata utile in altre occasioni per sviluppare la storia?
Sì, la nostra prima Lucca come autori Bonelli è stata nel 1995 e abbiamo cominciato a parlare di Dragonero proprio in una trattoria. Poi nelle tre/quattro edizioni successive, il fatto di trovarsi qua per lavoro diversi giorni, ci ha dato la possibilità di continuare a discutere e ampliare il personaggio. A Lucca, in diverse trattorie, non si usa la tovaglia di tessuto, ma di carta. Io conservo ancora dei pezzetti di tovaglia di carta marrone con disegni, appunti e note che prendevamo mentre mangiavamo la nostra minestra di farro.
Sempre nei nostri interventi presenti in mostra, dite che avete messo a durissima prova i disegnatori quando andavano scelti per lavorare sugli albi, oltre che richiedere loro una passione già propria per il fantasy. In questo modo avete sicuramente ottenuto una qualità altissima e costante, ma puoi farmi qualche esempio della “perfidia” delle scene richieste?
Le scene più difficili da disegnare sono sempre quelle di massa: scontri tra armigeri, assedi ai castelli… Nella serie regolare non abbiamo mai affrontato esageratamente queste scene, ma con la saga delle Regine Nere li metteremo davvero a dura prova. Per uno sceneggiatore sono le scene più belle, perché basta scrivere: Mura del castello, con torre che svetta e armigeri che si picchiano da ambo le parti. In due minuti hai scritto la scena. Il disegnatore ci mette tre giorni a disegnare la tavola.
Avete avuto il via libera per avviare la serie dopo i dati di vendita positivi per il Romanzo a Fumetti che avete pubblicato nel 2007, oppure Sergio Bonelli è rimasto colpito dalla qualità della storia? Perché mi sembra che all’inizio fosse un po’ restìo a creare una serie totalmente fantasy.
A Sergio è molto piaciuto il romanzo, anche da non grande amante del fantasy. La cosa bella che posso ricordare è che quando abbiamo firmato il contratto ci disse: “Io non amo molto il fantasy, però tu e Luca siete molto bravi, quindi sono contento che si avvii questo progetto perché è in buone mani.” Ci ha lasciati con questa bella frase.
In effetti non è che fosse poi molto lontano dal fantasy, perché ad esempio Zagor propone storie piuttosto fantastiche.
Eh sì, Zagor però usava la pistola anziché la spada perciò non era un vero e proprio fantasy, era più un’avventurona. Però è il personaggio che più si avvicina a Dragonero, infatti abbiamo fatto anche un team-up tra i due che ha funzionato bene.
E ti sei divertito a scriverlo?
Altroché! È stato il primo fumetto che abbia mai letto da ragazzino, ho cominciato a leggere fumetti proprio da Zagor. É stata proprio una questione di cuore.
Concludiamo con una domanda più personale: i tuoi autori fantasy preferiti?
Io mi sento di consigliare quello che io considero il mio maestro: Robert Howard, conosciuto per Conan, ma ha scritto storie, novelle, romanzi brevi bellissimi di tutti i generi e secondo me ha ancora oggi un ottimo impatto emotivo. E poi sono un appassionato di Fritz Lieber, soprattuto le storie di Fafhrd e il Gray Mouser che anche se un po’ datato resta un fantasy eccezionale anche gotico, dark.
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