Per Downsizing – Vivere alla grande, il condizionale è obbligatorio: avrebbe potuto essere.
Il film diretto da Alexander Payne si apre con una sequenza e un attore, Rolf Lassgård, che sembrerebbero promettere una buona condizione della storia. L’argomento sembra essere interessante e lo spettatore entra in sala e inizia la visione con un atteggiamento divertito e attento, proprio come davanti a una performance provocatoria e profonda.
Invece il film continua a buttare sul fuoco argomenti e problemi in un affastellamento da compratori compulsivi seriali. Se il fulcro sembra essere la ricerca e la scoperta di un modo nuovo di vivere nel mondo per salvaguardarlo, poi passiamo all’impatto sociale che questo ha sulla popolazione, poi il centro si sposta alle relazioni personali (abbandono, tradimento della fiducia e divorzio), poi i problemi economici, poi la vita da ridotti, poi l’utilizzo della riduzione da parte di regimi totalitari e il ruolo dei dissidenti politici, poi la convivenza in condominio e il traffico illegale, poi la nascita di un nuovo amore e il confronto con la menomazione e poi l’illusione infranta di un mondo migliore, poi la nuova ricerca alternativa a supporto di un’ulteriore scelta estrema. Insomma manca il cane mutilato e credo che ci sia quasi tutto.
Ogni tema viene preso e lasciato senza approfondimento alcuno, con il risultato di un’estenuante fila di accuse all’umanità ignava e incurante e alla gestione della Terra. Questo ovviamente fa perdere forza e pregnanza e dopo neanche tre quarti d’ora lo spettatore ha un crollo psicofisico tale da necessitare di un’endovena di energizzante per riprendere l’attenzione ormai sopita.
Peccato, perché gli attori sono bravi, penso a Christoph Waltz, Hong Chau; altri funzionali: Matt Damon, Kristen Wiig. La sospensione dell’incredulità viene sostenuta, il problema è che si infrange dopo neanche mezz’ora. E tutti le tarantelle pseudo fricchettone e ambientaliste alla fine del film non fanno altro che dare mazzate agli spettatori ormai abbastanza tramortiti.
Insomma non si può sparare sulla Croce Rossa.
Alexander Payne avrebbe potuto e dovuto scegliere, ma si sa le scelte comportano delle rinunce a cui è difficile sottostare. Siamo costretti a scegliere, in questo caso sarebbe stato necessario.
Anche visivamente il film è ben confezionato, anche se ci sono immagini da cartolina, volte forse a solleticare la nostra indignazione e preoccupazione per le risorse mondiali. L’intento sarebbe anche giusto e salutare, ma allora perché non fare una bella campagna pubblicitaria?
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