Ken Kaneki è uno studente universitario al primo anno, timidissimo e introverso ama molto leggere ed ha un solo amico. Quando riesce ad uscire con Rize, una sua coetanea anch’essa con l’hobby della lettura, è certo di vivere il giorno più bello della sua vita. Ken avrà però una terribile sorpresa quando, dopo un tenero abbraccio, viene morso violentemente alla spalla dalla ragazza che si dimostra essere un ghoul in cerca di cibo. Questi esseri terribili all’apparenza assomigliano in tutto e per tutto agli umani, tranne che, per loro, l’unica fonte di nutrimento è la carne umana.
La polizia è riuscita a eliminarli quasi del tutto, ma nella città di Tokyo ne sopravvivono ancora. Per una serie di fortunate circostanze durante l’aggressione Ken rimane gravemente ferito ma Rize muore e, per riuscire a salvare il ragazzo un medico decide di trapiantare nel giovane gli organi della ragazza. Al suo risveglio Ken si rende conto di essersi trasformato in un mezzo ghoul, e cade preda di una fame mostruosa alla quale cerca disperatamente di non cedere.
Tokyo Ghoul nasce nel 2011 come manga scritto e disegnato da Sui Ishida, e in Giappone raccoglie enormi successi grazie alla capacità di intrecciare elementi drammatici e psicologici con un bel po’ di horror splatter. Nel 2014 viene prodotto dallo Studio Pierrot l’anime di dodici episodi seguito, l’anno dopo, da un’altra serie, mentre è del 2016 il live action uscito solo ora in Italia.
La domanda che sta alla base del racconto è: tutte le vite hanno lo stesso valore? Ipotizzando l’esistenza di un'altra specie la cui unica possibilità di sopravvivenza è l’omicidio di esseri umani, questa potrebbe vivere legittimamente? Niente di filosoficamente troppo impegnativo dunque, che però nella dimensione manga e anime, unita a un’estetica tutta giapponese per la messa in scena (dai combattimenti mirabolanti in cui scompare la forza di gravità, alle scene madri in salsa shakespeariana) risultano piuttosto divertenti. Anche la trama sa di già sentito con il solito ragazzino giapponese orfano e sfigato alla ricerca di se stesso, messo di fronte a un destino ineluttabile. Tanti combattimenti, qualche storia d’amore, cattivi molto cattivi e così via.
Se portare la mitologia del manga nell’anime è quasi una conseguenza naturale, altrettanto non si può dire per il cinema. Che ci abbiano provato gli americani (Dragon Ball o Death Note) o i giapponesi (Nana o il recente Fullmetal Alchemist) il risultato è sempre stato a dir poco disastroso. Nel primo caso si è provato a cambiare in modo radicale la trama, snaturando la natura stessa dei prodotti di partenza e perdendo del tutto ciò che aveva fatto amare ai fan quei titoli. Nel secondo caso invece si è seguito pedissequamente la trama del manga, senza però capire che attori in carne ed ossa risultano spesso ridicoli non solo in trame fantastiche come nel caso di Tokyo Ghoul, ma anche con storie “realistiche” come per Nana.
È come se la natura stessa del prodotto di partenza (e altrettanto non si può dire per i fumetti americani) respinga la corporeità. Infatti, non solo Tokyo Ghoul è un brutto film a causa di un budget evidentemente basso e per una regia sciatta, ma sono proprio i personaggi, il modo in cui si muovono che, in quanto “reali”, non riescono a portare sullo schermo il vero valore del manga, che risiede nella sua estetica così particolare. Una capacità di rappresentazione tramite le immagini che non riesce mai a trovare la giusta dimensione in pellicola a meno di un qualche, clamoroso, miracolo.
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