La sintesi della trama di Il giustiziere della notte può essere estrema: la storia di un uomo che, dopo che una tragica rapina ha provocato la morte della moglie e il coma della figlia, decide di impugnare una pistola e farsi giustizia da solo.
Si tratta del remake del film del 1974 diretto da Michael Winner e interpretato da Charles Bronson, basato sull'omonimo romanzo di Brian Garfield, che diede vita a suo modo a un franchise con quattro seguiti, tutti interpretati dal granitico Bronson.
Dopo 42 anni, è inutile nasconderlo, il tema è sempre di attualità in tutti i suoi aspetti: dalla legittimità del possesso di armi a scopo difensivo, alla opportunità che i cittadini si sostituiscano alla legge, diventando polizia, giudici e, in questo caso, anche boia dei criminali.
Il romanzo e il film originali furono dei capostipite di un filone sfociato anche nel mondo Marvel, ispirando il personaggio del Punitore.
Ma Paul Kersey, qui un chirurgo che prima ancora di fronteggiare la tragedia familiare si trovava ogni giorno davanti alle conseguenze della criminalità, trovandosi a volte nella difficile condizione di non riuscire a salvare la vita ai tutori della legge, e di riuscirci invece con i criminali, non è un supereroe.
Interpretato da un sofferto Bruce Willis, Kersey è all'inizio della vicenda un uomo pacifico, che non cerca guai e non arriva alla lite neanche provocato.
Un uomo che subirà una lenta trasformazione, non solo per la rapina che gli ha devastato la vita, ma anche per la catena di eventi che da questa saranno scatenati.
La sceneggiatura a più mani del film lavora bene nel primo atto, presentando con coerenza il mondo del protagonista e la tragedia iniziale. Poi si scolla in modo pretestuoso con il modo in cui Kersey viene in possesso della sua pistola, ma si ricuce bene nel terzo atto, nel quale in qualche modo riesce a cavarsi dagli estremi impicci in cui si è cacciato con logica. Non siamo davanti alla mera riproposizione degli elementi narrativi degli anni '70, ma si appoggia ai nostri tempi in tutti i suoi passaggi, accennando alla viralità dei social e a come inneschino processi imitativi, sia sfruttando con logica il telefono cellulare.
Sul fronte registico Eli Roth rinuncia all'estetica della violenza estrema, sia pure accennata, fermandosi giusto un attimo prima, mostrando il minimo indispensabile. Si avvicina esteticamente al film originale, che oggi forse sarebbe un film per tutti, ma che all'epoca suscitò polemiche per la sua rappresentazione della violenza urbana, con molti elementi visivi, come lo schermo diviso e la fotografia notturna sgranata.
Se Willis è monocorde, coerente con l'idea di un uomo inebetito da una serie micidiali di avversità, ma è ben supportato dai comprimari, dal bravo Vincent D'Onofrio (I magnifici sette, Daredevil e Law & Order), nel ruolo del fratello del protagonista, primo indiziato di essere il Giustiziere per via dei suoi precedenti penali, e da Dean Norris (Breaking Bad), che riprende il ruolo che nell'originale fu del mitico Vincent Gardenia, ossia del poliziotto che sospetta la verità su Kersey ma si trova combattuto nell'agire fino in fondo.
Siamo davanti a un film che conserva tutto il distacco del materiale originale alla fine. Il racconto di una vicenda umana senza esprimere giudizi e che lascia lo spettatore a decidere se condannare Kersey o simpatizzare per lui. Alla fine lo scopo è di realizzare un prodotto d'intrattenimento che attinga alla realtà in modo credibile, ma non una vera e propria denuncia sociale.
È probabile che questo sia il primo capitolo di una nuova saga, perché l'ultimo fotogramma sembra dirci che ormai il protagonisa ha imboccato una strada senza ritorno.
Aggiungi un commento
Fai login per commentare
Login DelosID