Volo nel buio, lontano dal giardino che hanno innaffiato col sangue dei miei amici. L’uomo d’Oro che ha ucciso mia moglie giace morto accanto a me, sul freddo ponte di metallo, massacrato per mano del suo stesso figlio.
Il vento d’autunno mi agita i capelli. La navicella romba sotto di noi. Lontano, l’arancione brillante delle fiammate d’attrito squarcia la notte. I Telemanus discendono dall’orbita in mio soccorso. Meglio se non l’avessero fatto. Meglio lasciare che le tenebre mi ghermiscano e gli avvoltoi si disputino il mio corpo paralizzato.
Le voci dei nemici riecheggiano dietro di me. In piedi, tutti intorno. Demoni dalle facce d’angelo. Il più esile tra loro si inginocchia accanto a me. Mi accarezza la testa mentre guarda il cadavere di suo padre.
«È così che tutta questa storia doveva finire» mi dice. «Non con le tue urla. Non con la tua rabbia. Ma col tuo silenzio.»
Roque, che mi ha tradito, siede in un angolo. Era mio amico. Ha un cuore troppo gentile per il suo Colore. Volta il capo e vedo che sta piangendo. Ma non per me. Per lui stesso. Per ciò che ha perso. Per chi gli ho portato via.
«Nessun Ares a salvarti. Nessuna Mustang ad amarti. Sei solo, Darrow.» Gli occhi dello Sciacallo sono distanti e tranquilli. «Come me.» Solleva una maschera nera, senza occhi, con una museruola, e me la allaccia sul viso. La vista si oscura. «Ecco, questa è la fine.»
Per spezzarmi, ha massacrato coloro che amo.
Ma c’è ancora speranza, in quelli che sono sopravvissuti. In Sevro. In Ragnar e Danzatore. Penso al mio popolo incatenato nelle tenebre. A tutti i Colori di tutti i pianeti, schiavi e prigionieri per permettere agli Oro di dominare, e sento la rabbia avvampare nel buco nero che mi ha scavato nell’anima. Non sono solo. Non sono la sua vittima.
Scateni pure tutto il male di cui è capace. Io sono il Mietitore. Conosco la sofferenza.
Conosco le tenebre. Questa non è la fine.
1 Solo il buio
Nel profondo delle tenebre, lontano dal calore, dal sole e dalle lune, giaccio, silenzioso come la pietra che mi circonda e che imprigiona il mio corpo ingobbito in un grembo d’orrore. Non posso alzarmi, né stendermi. Posso solo stare rannicchiato in posizione fetale, un fossile avvizzito dell’uomo che ero. Le mani ammanettate dietro la schiena. Nudo sulla fredda roccia.
Completamente solo. Nelle tenebre.
Sembrano mesi, anni, millenni da quando le mie ginocchia non stavano piegate, da quando la schiena era dritta, e non in questa postura distorta. Il dolore mi fa impazzire. Le giunture sono incastrate come ferro arrugginito. Quanto tempo è passato da quando ho visto i miei amici Oro morire dissanguati sul prato? Da quando ho sentito Roque baciarmi cortese sulla guancia mentre mi spezzava il cuore?
Il tempo non è un fiume. Non qui.
In questa tomba, il tempo è una pietra. È oscurità, costante e indomita. Come unica misura, i pendoli gemelli della vita: il respiro e il battito del cuore.
Inspira. Buh… bump. Buh… bump. Espira. Buh… bump. Buh… bump. Inspira. Buh… bump. Buh… bump.
E così all’infinito. Finché… finché cosa? Finché morirò di vecchiaia? Finché non mi spaccherò la testa contro la pietra? Finché non recido a morsi le sonde che i Gialli mi hanno cucito nel basso ventre per l’alimentazione forzata, lasciando che questa si riversi per terra?
O finché non impazzirò?
«No» digrigno i denti.
Ssssssì.
«È solo il buio» inspiro. Mi calmo. Tasto le pareti in una sequenza calmante. Dorso, dita, coccige, talloni, dita dei piedi, ginocchia, testa. Lo ripeto. Una dozzina di volte. Cento volte. Meglio essere sicuro, no? Facciamo mille.
Sì, sono solo.
Una volta pensavo che ci fossero destini peggiori di questo, ma adesso so che non è così. L’uomo non è un’isola. Abbiamo bisogno di coloro che amiamo. Di coloro che odiamo. Abbiamo bisogno degli altri nella catena della vita, per darci una ragione per vivere, per provare emozioni. Io ho solo le tenebre. Talvolta urlo. Talvolta rido. Di notte, di giorno. Adesso chi lo sa. Rido per passare il tempo, per esaurire le calorie fornitemi dallo Sciacallo e addormentare il corpo tremante.
Piango, anche. Canticchio. Fischietto.
Ascolto le voci ai piani superiori. Giungono fino a me dall’infinito mare d’oscurità. Accompagnate dal cozzare folle di catene e ossa, che vibrano attraverso le mura della mia prigione. È tutto così vicino, eppure a mille chilometri di distanza, come se appena al di là delle tenebre ci fosse un intero mondo e io non potessi vederlo, toccarlo, assaggiarlo, percepirlo sulla pelle, o squarciare quel velo e appartenervi di nuovo. Imprigionato nella solitudine.
Sento le voci, adesso. Le catene e le ossa che ticchettano a gocce nella mia prigione.
Sono mie, queste voci? L’idea mi fa ridere.
Bestemmio. Complottare. Uccidere.
Massacrare. Trafiggere. Squarciare. Bruciare.
Imploro. Ho le allucinazioni. Patteggio.
Guaisco preghiere a Eo, felice che le sia stato risparmiato un destino come questo.
Non sta ascoltando.
Mi canto ballate infantili e recito La Terra morente, Il lampionaio, il Ramayana, l’Odissea in greco e latino, e poi nelle lingue perdute, arabo, inglese, cinese e tedesco, estraendole dai ricordi delle PioggeDati che Matteo mi infuse nella mente quand’ero poco più di un ragazzo. Cerco forza nell’Acheo caparbio che voleva solo tornare a casa.
Dimentichi cosa avesse fatto.
Odisseo era un eroe. Ha spezzato le mura di Troia col suo cavallo di legno. Come io ho spezzato gli eserciti Bellona nella Pioggia di Ferro su Marte.
E poi…
«No» sbotto. «Sta’ zitto.»
Gli uomini entrarono a Troia. Trovarono le madri. E i bambini. Indovina un po’ cosa fecero?
No. «Sta’ zitto!»
Lo sai cosa fecero. Ossa. Sudore. Carne. Cenere. Pianto, sangue.
Il buio ridacchia deliziato.
Mietitore, Mietitore, Mietitore… Tutte le imprese che durano nel tempo sono dipinte col sangue.
Sto dormendo? Sono sveglio? Ho perso la strada. Tutto sanguina, mi affoga in visioni, sussurri e rumori. Ancora e ancora, strattono le piccole caviglie di Eo. Spacco la faccia di Julian. Odo Pax, Quinn, Tactus, Lorn e Victra mentre esalano il loro ultimo respiro. Così tanto dolore. E per cosa? Per deludere mia moglie. Per deludere il mio popolo.
E deludere Ares. E i tuoi amici.
Quanti ne restano? Sevro? Ragnar?
Mustang?
Mustang. E se sapesse che sei qui… e se non gliene importasse nulla? E perché mai dovrebbe? Tu che l’hai tradita. Tu che le hai mentito. Tu che hai sfruttato la sua intelligenza. Il suo corpo. Il suo sangue. Le hai mostrato il tuo vero volto ed è fuggita. E se fosse stata lei? E se fosse stata lei a tradirti? La ameresti ancora, allora?
«Zitto!» urlo a me stesso, e al buio. Non pensare a lei. Non pensare a lei. E perché no? Ti manca.
Una visione di lei sboccia nel buio come molte altre in passato: una ragazza si allontana su un destriero che galoppa in un campo verde; si volta sulla sella e invita a seguirla, ridendo. I capelli crespi sobbalzano come grano estivo sul carretto di un contadino.
Tu la brami. La ami. La ragazza Oro. Dimentica quella puttana Rossa.
«No» sbatto la testa contro il muro. «È solo il buio» bisbiglio. Solo il buio che gioca brutti scherzi alla mia mente. Cerco comunque di dimenticare Mustang, Eo. Non esiste alcun mondo fuori di qui. Non può mancarmi ciò che non esiste.
Il sangue caldo mi corre giù lungo la fronte dalle vecchie ferite riaperte. Mi gocciola dal naso. Tiro fuori la lingua, ispeziono la pietra fredda finché trovo le gocce. Assaporo il sale, il ferro di Marte. Piano. Piano. Lascia che la nuova sensazione duri. Che il sapore resti e mi ricordi che sono un uomo. Un Rosso di Lykos. Un SubInfero.
No. Non lo sei. Non sei niente. Tua moglie ti ha abbandonato e privato di un figlio. Eri troppo orgoglioso. Troppo stupido. Troppo malvagio. Adesso, sei stato dimenticato.
Davvero?
L’ultima volta che ho visto la ragazza Oro, ero in ginocchio accanto a Ragnar nei cunicoli di Lykos, chiedendo a Mustang di tradire il suo stesso popolo e vivere per qualcosa di più. Un mondo migliore era a portata di mano. Invece, lei ha scelto di andare via. Può essersi davvero dimenticata di me? Il suo amore l’ha davvero abbandonata?
Amava solo la tua maschera.
«È solo il buio. Solo il buio. Solo il buio» balbetto sempre più veloce.
Non dovrei essere qui.
Dovrei essere morto. Dopo la morte di Lorn, dovevo essere consegnato a Ottavia perché i suoi Scultori mi dissezionassero per scoprire i miei segreti: come fossi potuto diventare un Oro. Per capire se potessero essercene altri come me. Ma lo Sciacallo aveva fatto un accordo. Mi avrebbe tenuto lui. Mi ha torturato nella sua tenuta di Attica, interrogandomi sui Figli di Ares, su Lykos e la mia famiglia.
Non mi ha mai detto come abbia scoperto il mio segreto. L’ho supplicato di porre fine alla mia vita.
Mi ha consegnato alla pietra.
«Quando tutto è perduto, l’onore esige la morte» mi aveva detto Roque una volta. «È una fine nobile.» Ma cosa ne sa un poeta riccastro della morte? I poveri conoscono la morte. Gli schiavi conoscono la morte. Eppure, persino mentre la bramo, la temo. Perché più osservo questo mondo crudele, meno riesco a credere che possa concludersi come una fiaba consolante.
La Valle non esiste.
È una menzogna raccontata da madri e padri per dare ai loro bambini che muoiono di fame un senso all’orrore. Non c’è alcuna ragione. Eo non c’è più. Non mi ha mai visto lottare per il suo sogno. Non le importa che destino mi sia forgiato all’Istituto o se abbia amato Mustang. C’è solo questo mondo. È il nostro inizio e la nostra fine. L’unica nostra occasione di gioia, prima del buio.
Sì. Ma tu non devi arrivare alla fine. Puoi sfuggire a questo posto, sussurrano le tenebre. Di’ le parole. Dille. Tu sai come fare.
È vero. Lo so.
«Devi solo dire “Sono spezzato” e tutto questo finirà» mi ha detto lo Sciacallo molto tempo fa, prima di farmi sprofondare in questo inferno. «Ti metterò in una deliziosa tenuta per il resto dei tuoi giorni e ti manderò Rose splendide, e calde, e cibo a sufficienza per farti ingrassare più del Signore delle Ceneri. Ma quelle parole hanno un prezzo.»
Ne vale la pena. Salvati. Nessun altro ti salverà.
«E quel prezzo, caro Mietitore, è la tua famiglia.»
La famiglia che ha strappato da Lykos con i suoi Segugi e che adesso tiene nelle viscere della sua fortezza di Attica. Non mi hai mai permesso di vederli. Mai concesso di dirgli che li amo, che mi dispiace di non essere stato abbastanza forte da proteggerli.
«Li darò in pasto ai prigionieri di questa fortezza» ha detto.
«Agli uomini che secondo te dovrebbero regnare al posto degli Oro. Quando vedrai la bestia annidata in ogni uomo, saprai che io ho ragione e tu hai torto. Gli Oro devono regnare.»
Lasciali andare, dicono le tenebre. Il sacrificio è utile. Saggio.
«No… non lo farò…»
Tua madre vorrebbe che tu viva. Non a quel prezzo.
Chi può comprendere l’amore di una madre? Vivi. Per lei. Per Eo. Potrebbe volerlo davvero? Hanno ragione le tenebre? Dopo tutto, io sono importante. L’ha detto Eo. L’ha detto Ares. Ha scelto me. Tra tutti i Rossi. Posso spezzare le catene. Posso vivere per qualcosa di più. Non è egoista da parte mia evadere da questa prigione. Nel più grande schema delle cose, è persino altruista.
Sì. Altruista, davvero…
Mia madre mi implorerebbe di fare questo sacrificio. Kieran capirebbe. Così come mia sorella. Posso salvare il nostro popolo. Il sogno di Eo deve diventare realtà, a qualsiasi prezzo… Ho la responsabilità di sopravvivere. Ne ho il diritto.
Di’ le parole.
Sbatto la testa contro la pietra e urlo alle tenebre di sparire.
Non possono ingannarmi. Non possono spezzarmi.
Non lo sapevi? Tutti gli uomini si spezzano.
La risatina stridula si fa gioco di me, prolungandosi senza fine. E so che ha ragione. Tutti gli uomini si spezzano. A me è già successo sotto i suoi aguzzini. Gli ho detto che venivo da Lykos. Gli ho rivelato dove poteva trovare la mia famiglia. Ma c’è una via d’uscita, per onorare ciò che sono. Ciò che Eo amava. Per
azzittire le voci.
«Roque, avevi ragione» sussurro. «Avevi ragione.» Voglio solo andare a casa. Andarmene da qui. Ma non posso. L’unica cosa che mi resta, l’unico sentiero onorevole, è la morte. Prima di tradire ancora ciò che sono.
La morte è la via d’uscita.
Non essere sciocco. Fermati. Fermati.
Sbatto la testa contro il muro più forte che mai. Non per punirmi, ma per uccidermi. Per farla finita. Se questo mondo non conosce alcun lieto fine, allora il nulla basta e avanza. Ma se c’è una Valle al di là di questo livello di realtà, la troverò. Sto arrivando. Alla fine, sto arrivando davvero. «Ti amo.»
No. No. No. No. No.
Mi fracasso la testa sulla pietra. Qualcosa di caldo mi cola sulla faccia. Faville di dolore danzano nel buio. Le tenebre ululano, ma non mi fermo.
Se questa è la fine, le correrò incontro con tutta la mia furia. Ma come tiro indietro la testa per sferrare un ultimo colpo, l’intera esistenza geme. Tuona come un terremoto. Non le tenebre. Qualcosa al di là di esse. Qualcosa nella pietra stessa, che urla sempre più forte e profondo sopra la mia testa, finché il buio si spezza e una spada di luce violenta si abbatte su di me.
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