Erasmus (Coogan) e Paul (Rudd) sono un'eccentrica coppia di vip che trascorre giornate fitte di impegni in un'insolita cornice in stile texano a Santa Fe. Nella loro già caotica e stravagante vita fatta prevalentemente di set, cene e zero regole arriva Angel, inatteso nipote di Erasmus.
Paul: Hai un nipote?
Erasmus: Incredibile, vero? Guardami, non mi sono rifatto niente!
Già particolarmente abili a complicare le rispettive vite oltre che la loro relazione, dovranno ripensare i propri equilibri e fare posto a un bambino dal background problematico, riscoprendo se stessi, ammettendo i propri limiti, smettendo di giocare alla coppietta di eterni fidanzati per fare posto a un impegno genitoriale di cui riscoprono le difficoltà e forse troppe incapacità. Tuttavia, Angel (che si fa chiamare Bill) saprà progressivamente, e con non poca fatica, tirare fuori il meglio dei due, come ogni commedia americana un filo buonista pretende.
A Modern Family arriva in Italia con un vizio di forma, ovvero la nostrana spiacevole usanza di cambiare i titoli ai film. L'originale, Ideal home, avrebbe lasciato maggiore spazio all’immaginazione, nascondendo in sé già una prima forma di ironia e, al tempo stesso, interrogativi. Qual è il posto ideale per un bambino con genitori problematici, il luogo da poter chiamare casa? Qual è veramente la famiglia di un bambino? Cosa fa di un uomo un padre e un compagno? Si sceglie di essere padre o si è padre? Come si concilia l’io con il noi?
La commedia di Andrew Fleming ci racconta (almeno nelle intenzioni) di come una coppia gay, proiettata su un certo stile di vita che coi bambini avrebbe ben poco da spartire, riscopre la capacità di fermarsi, riconsiderare il proprio stile quotidiano per quel che realmente dona, valutare se nella vita si possa vivere solo di scintillio e amenità, mettersi in ascolto delle più nascoste esigenze di un indifeso e procedere su una strada nuova, inedita, in cui un affidamento temporaneo rischia (o ha la possibilità) di essere qualcosa in più non solo in senso genitoriale, ma anche come individui parte di un nucleo (famiglia, a prescindere, nipote e nonno lo sono già). Il talento degli attori sembra quasi riuscire a scavalcare le intenzioni dello script creando persino il giusto impatto con lo spettatore, ma per forza di cose finisce per soccombere e a lasciare un senso di insoddisfazione generale.
Altro limite della pellicola è il doppiaggio italiano, che forzando le inflessioni effemminate dei protagonisti rende il film, già fragile nei risultati (non tanto negli intenti), ancora più frivolo e inconsistente.
Si tratta di un approccio ridicolizzante che si dovrebbe lasciare solo a personaggi estremi come Jack McFarland di Will & Grace. Nel cinema ritengo sia un modo ormai noioso e sciocco di rappresentare (ma trattandosi di doppiaggio direi più scimmiottare) l’omosessualità di cui nessuno sente il bisogno, squalificante, oltretutto, per la nobile arte del doppiaggio che in questi casi tutto risulta fuorché utile, di certo non nobile. Così trattando la pellicola, infatti, si è persa tutta l’ironia inglese di Steve Coogan, la rude tenerezza – nascosta dietro l’aspetto del macho dal retrogusto hipster – di Paul Rudd e non si è puntato, inoltre, a riprodurre degnamente l’acume e al tempo stesso la mancanza di malizia del bambino che deve crescere troppo in fretta e che non chiede altro che essere considerato e amato, ottimamente resi, invece, dal giovanissimo Jack Gore.
Avendo visto la pellicola in lingua originale caldeggio per questa opzione.
Ideal home risulterà molto più godibile e riderete, perché si ride e anche di gusto. Peccato per le risoluzioni troppo scontate, buoniste, riviste, che non rendono questo film qualcosa in più in un momento in cui il dibattito sull'omosessualità e l'omofobia, il concetto di coppia, la famiglia e le adozioni è acceso, infuocato, estenuante, violento, umiliante e spesso triste. Quel che è peggio, poi, è il tocco perbenista dato dalla “sigla” finale, che castra completamente lo spirito politicamente scorretto (ribadisco, già un po’ claudicante) del film.
Si poteva fare molto meglio, idealmente, magari un'altra volta.
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