Darkest Minds è il primo film live-action di Jennifer Yuh Nelson, regista di due episodi della serie Kung Fu Panda.
La storia involontariamente stupisce in un periodo di lotte irrazionali fra vaccinisti e antivaccinisti, perché narra la storia, ambientata in un’America distopica e abbastanza violenta da essere reale, in cui il 98% della popolazione infantile è morto di una misteriosa malattia (non necessariamente morbillo) e il restante 2% è costretto alla fuga in quanto considerato pericoloso per lo Stato.
Ruby ha dieci anni ed è una sopravvissuta a questa misteriosa malattia. Basta questo per destare dei sospetti. Il giorno del suo decimo compleanno Ruby si rende conto che c’è qualcosa di diverso in lei e teme per se stessa e per i suoi genitori, che spaventati chiamano la polizia e la fanno chiudere in un campo di riabilitazione, chiamato Thurmond (potrebbero essere le classi per immunodepressi per esempio, ma queste sono solo mie analogie). In quei campi la vita è terrificante, un po’ come nei campi profughi, o nelle peggiori prigioni americane in cui tanti Josef K, o tanti deportati politici vengono rinchiusi per non si sa bene quale motivo preciso, o quale accusa precisa. Ciò che è certo è che tutti questi bambini, adolescenti hanno dei poteri ritenuti pericolosi, perché poco gestibili anche dai proprietari.
Passano gli anni e finalmente la protagonista, interpretata da Amandla Stenberg, riesce a evadere dal campo di prigionia. La ragazza fugge, in cerca dell’unico luuogo sicuro per quelli come lei: East River. Durante la fuga, come manuale vuole, Ruby incontra un gruppo di ragazzi, anch’essi alla ricerca di questo luogo misterioso e sconosciuto. Liam, il coraggioso leader del gruppo è il principe biondo senza macchia e senza paura. E come manuale vuole l’ormone sfrizzola, sia per l’età, sia perché Harris Dickinson effettivamente è un bel figliuolo.
Nonostante ciò, ovviamente qualcosa si deve opporre al trionfo dell’amore e per quanto Ruby desideri ardentemente concretizzare una storia con Liam non può rischiare di avvicinarsi troppo. Non dopo quello che è successo ai suoi genitori, non avendo il ricordo confuso e la paura di ciò che potrebbe succedere. Dopo varie peripezie e situazioni sensuali andanti, il gruppo di ragazzi arriva a East River, che appare come una comune sessantottina peace and love, in cui ognuno ha dei ruoli molto ben definiti. Sembra però una setta, una sorta di gabbia dorata, come possono essere certe società (Apple? Lego?) che impiegano lavoratori offrendo loro tutto: dal ristoro per le pennichelle, al nido per i bambini, pur di controllare attraverso amabili opportunità gli impiegati.
Il misterioso leader del rifugio, di cui tutti parlano, ovviamente si vede solo all’ultimo e cade il velo. Come nel Mago di Oz si scopre cosa si cela dietro il mistero. Ed è ovviamente Liam ad aprire gli occhi per primo. A questo punto c’è lo scontro fra bene e male e qui si schiaccia l’occhio a Harry Potter e Voldemort.
Non sarà una novità dire che il gran finale rasserena tutti, è di molto facile sapere che il film è un adattamento dell’omonimo romanzo di Alexandra Bracken, primo di una trilogia, che comprende The Darkest Minds, Never Fade e In the Afterlight. Pertanto è molto probabile aspettarsi un seguito anche della versione filmica. Gli attori sono bravi, funzionali e non mancano dei momenti di sorrisi e di tenerezza, nonostante la prevedibilità di tutta la storia, che sembra fare un mischione di tanti film già visti (alcuni da me anche citati).
Tutto sommato è passabile, ha il merito di aver scelto degli attori belli da cliché, rispettando sia le quote etniche, sia quelle fenomenologiche.
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