Anni fa Slender Man fu un tormentone mediatico reso famoso da video e videogame amatoriali. L’enigmatica creatura entrò in un batter d’occhio a far parte di un folklore moderno strutturato sui “creepypasta”, ma ne uscì altrettanto rapidamente non appena la bolla speculativa che la circondava collassó su se stessa, saturando il mercato. Con almeno un lustro di ritardo, Sony ha deciso di partecipare a quello che resta del banchetto, mettendo in cantiere un horror da una decina di milioni di dollari: il risultato è l’ennesima occasione persa o un inatteso ritorno di fiamma?
Trama – La lunga mano
In una pigra cittadina americana quattro adolescenti annoiate decidono di invocare Slender Man, un mostro noto per rapire giovani e bambini. Visionato il video internet che dovrebbe fungere da portale per la creatura, le ragazze iniziano a essere soggette a incubi sempre più opprimenti in un crescendo che le porta a fondere onirico e reale.
Una settimana dopo, in occasione di una gita scolastica a un cimitero, una delle quattro sventurate scompare senza lasciare traccia. Le allarmate amiche scoprono che un anonimo utente internet l’aveva spinta a cedere al richiamo dello Slender Man e, nella speranza di risolvere la situazione, si affidano a loro volta alla Rete per poterla riavere indietro. Istruite via chat sul da farsi, si radunano in un anfratto isolato di boscaglia, si bendano e attendono la sopraggiunta della creatura così da proporre lei un baratto.
La struttura – L’albero del male
Slender Man, a essere generosi, è una sciagura cinematografica. Non tanto per l’abissale qualità del prodotto, quanto per la sensazione che il risultato finale sia stato flagellato da innumerevoli incidenti di percorso. I personaggi non si rapportano come farebbero normali esseri umani, la creatura ha regole confuse e inconsistenti, persino i “jump scare” non riescono ad azzeccare modi e tempi, eppure ci sono indizi che suggeriscono che il progetto fosse stato pensato come thriller psicologico, come commento alle insidie di un uso acritico della tecnologia.
Una cameretta illuminata a intermittenza dai lampeggianti della polizia, sconosciuti che giocano con la facile suggestionabilità del gruppo, scorci di vite deprimenti e alienate che si sublimano in perverse fantasie, tutto sarebbe andato in direzione di un’interpretazione allegorica del “mostro” se solo la produzione non avesse ceduto alla tentazione di sfociare nel didascalico. Ogni minima intuizione annega in un mare di ciarpame e la pellicola diventa un emulo di The Ring pensato per un pubblico pre-adolescenziale.
Conclusioni – Nimmermeer
Dopo Ghostbusters e The Amazing Spider-Man, Sony Pictures è riuscita nuovamente ad annichilire un brand popolare attraverso un uso inconsapevole e superfluo dello strumento filmico. Nessun elemento di qualità riesce a filtrare attraverso il fitto setaccio di mediocrità che adombra la pellicola, anzi sembra che Slender Man sia il risultato di una serie di equazioni pensate da un calcolatore, che debba soddisfare una checklist di fattori utili ad appagare sedicenti pretese di mercato senza tenere alcun conto della creatività umana.
In un’era in cui esistono Hereditary e It Follows, Slender Man non può in alcun modo spacciarsi per un film decente, ma anche considerandolo come bieco blockbuster esso fatica a essere di intrattenimento alcuno e impallidisce in confronto a saghe popolari quali The Conjuring. Vale la pena prendere in considerazione la sua visione solamente qualora l’unica alternativa fosse Dragonball Evolution, ma a quel punto meglio spegnere lo schermo.
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