Nel 1972 in America i poliziotti di colore sono pochissimi e per questo i cittadini afroamericani vengono incoraggiati ad arruolarsi nelle forze dell’ordine. Ron Stallworth è deciso a volerci provare e, nonostante la diffidenza da parte di alcuni colleghi, il distintivo gli piace molto, tanto da metterlo davanti alla sua comunità. Una sera s’infiltra al comizio del leader afroamericano Stokey Carmichael, ritenuto pericoloso dalla polizia, e conosce Patrice, fervente sostenitrice della rivoluzione. Un po’ grazie al risveglio di coscienza nato dalla frequentazione della ragazza, un po’ per affermare la propria carriera di neo detective, Stallworth decide di infiltrarsi nel Ku Klux Klan. L’unico modo per farlo è al telefono, mentre per gli incontri di persona entra in scena un suo collega Filip, bianco e di origine ebraica, chiamato a impersonare il convinto razzista e profondo antisemita di nome Ron Stallworth.
BlacKkKlansman è dichiaratamente fin dalla prima scena in cui Alec Baldwin (celebre in questi ultimi anni per aver interpretato la più spassosa parodia del presidente americano) apre con un lungo monologo sulla supremazia della razza bianca, un film politico e anti Trump. Se è vero che questa pellicola di Spike Lee è tratta da un romanzo che racconta la storia vera di Ron Stallworth, ciò che preme al regista newyorkese è mostrare l’America di oggi e la preoccupante deriva razzista, sempre più diffusa grazie anche alla politica dell’attuale presidente. Come a dire che se quarant’anni sono passati, stiamo vivendo una drammatico cambio di rotta per ciò che riguarda diritti e integrazione. Non a caso la scena finale e scioccante, è quella risalente al 2017 a Charlottesville, quando un’auto guidata da un neonazista si lanciò su una folla di manifestanti uccidendo una persona.
Un pugno nello stomaco questo breve filmato documentario, ancora più efficace se si considera che BlacKkKlansman è una commedia e non un film drammatico. Pellicola decisamente vicina ai toni tarantiniani di Django Unchained nella memorabile scena dei cappucci del Ku Klux Klan, anche qui i razzisti nella loro truce ignoranza e nei beceri pregiudizi, strappano più di una risata. Persino il montaggio in parallelo del rito di iniziazione del clan con il racconto agghiacciante di Jerome Turner (interpretato da Harry Belafonte) che descrive la morte tramite tortura in pubblica piazza di un uomo di colore, è funzionale per descrivere il primo come una grottesca parodia. Uomini adulti e incappucciati che urlano esaltati di fronte alle immagini di Nascita di una nazione di Griffith, film che ebbe un impatto sociale così forte fa far rinascere il Ku Klux Klan, sono mostrati da Lee accanto alle immagini fotografiche di un uomo arso vivo.
Perfetti tutti gli attori a partire da Adam Driver, credibile in qualsiasi ruolo e John David Washington, figlio d’arte e bravissimo nel saper contenersi al punto giusto da non far scadere il proprio personaggio in una parodia. Per questo si perdona a Lee la scelta di proporre un cast afroamericano dai volti tutti bellissimi, da contrapporre a quello bianco decisamente meno affascinante.
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