Questo è un romanzo di fantascienza. Questo è un romanzo di fantascienza. Questo è un romanzo di fantascienza. Un’ultima volta, con attenzione, per avere la certezza che il concetto sia chiaro.
Questo. È. Un. Romanzo. Di. Fantascienza.
Il dettaglio del genere è fondamentale, se Vox non fosse un romanzo di fantascienza la situazione sarebbe grave. La fantascienza non è composta solo da storie ambientate in un lontano futuro. La fantascienza non parla del futuro, neanche quando per lo svolgimento della trama è fondamentale l’esistenza di tecnologie incredibilmente evolute, perché non può conoscere il futuro. La fantascienza parla di noi. Parla a noi se gli consentiamo di farlo, e a volte quello che ci trasmette è un pugno nello stomaco.
Il romanzo di Christina Dalcher appartiene a un sottogenere ben preciso, il distopico. La distopia siamo noi, il nostro mondo, con solo una piccola variazione, come ci hanno insegnato 1984 di George Orwell, Fahrenheit 451 di Ray Bradbury, Il racconto dell’Ancella di Margaret Atwood e numerose altre storie che ci spingono a riflettere per capire cosa potrebbe accadere. Non lo scenario preciso, nessuno scrittore è un indovino, ma l’atmosfera soffocante. L’incubo.
Se negli ultimi anni le distopie, sulla scia del successo di Hunger Games di Suzanne Collins, sono state indirizzate soprattutto a un pubblico di adolescenti, Naomi Alderman con Ragazze elettriche e Christina Dalcher con Vox ci ricordano che il genere è adulto e che queste storie possono essere devastanti.
In un’immaginaria America contemporanea le ultime elezioni hanno consegnato il potere al reverendo Carl Corbin e alla sua chiesa, animata da un sacro fuoco di moralizzazione dei costumi espresso nel Manifesto della Purezza. Una delle prime mosse del nuovo governo, compiuta un anno prima dell’inizio della storia, è il posizionamento sul braccio di ogni essere umano di sesso femminile – quindi anche su quello delle bambine – di un contatore di parole, eufemisticamente chiamato braccialetto. L’apparecchio conta le parole pronunciate ogni giorno da colei che lo indossa, fino alla numero 100. Se supera questo limite la donna riceve una scossa elettrica, che diventa progressivamente più forte ogni dieci parole di troppo. L’idea alla base del contatore è che le rivendicazioni femministe del secolo scorso abbiano portato a una degenerazione dei costumi che ha provocato una quantità infinita di problemi, dalla disoccupazione alla disgregazione familiare. Private della possibilità di dire cose inutili, quando non pericolose, e di assumere un qualsiasi ruolo che non sia quello di moglie e madre devota, le donne dovrebbero riscoprire il piacere della Purezza e trovare un nuovo appagamento nel servizio ai loro uomini, senza essere distratte dal lavoro o da tentazioni immorali.
Al centro delle vicende di Vox c’è Jean McClellan, già scienziata capace di compiere notevoli studi nell’area neurolinguistica del cervello e ora semplicemente moglie e madre di quattro figli, tre maschi adolescenti e una bambina di sei anni. Non una donna perfetta, anche lei ha il suo scheletro nell’armadio che, se scoperto, la farebbe finire in guai grossi, ma queste considerazioni spariscono di fronte all’incubo che è diventato la sua vita e quella di tutte le donne. Con i suoi occhi vediamo i problemi nel relazionarsi con i familiari, la facilità con cui le sue opinioni vengono trasformate in qualcosa di insignificante con il semplice espediente d’impedirle di esprimerle, la sua impotenza di fronte alle crisi familiari, il suo essere spinta sempre più in giù verso un ruolo passivo, il suo orrore nel rendersi conto che se il processo iniziato non verrà arrestato le nuove generazioni non saranno neppure più in grado di capire quanto questa situazione sia aberrante. Ci sono pagine in Vox che hanno un effetto viscerale, che fanno venite voglia di urlare e che faranno rimpiangere alle lettrici tutti i “Niente” che hanno detto nella realtà, quando qualcuno ha chiesto loro se ci fosse qualcosa che non andava senza capire quanto fosse evidente la risposta. Perché le parole sono potenti solo che, come tutte le cose fondamentali, troppo spesso le diamo per scontate, fino a quando non spariscono. Dalcher scava nella pelle, il suo è un Racconto dell’ancella ancora più cattivo, anche se va riconosciuta ad Atwood una maggiore capacità di scrittura.
Il reverendo Corbin ha zittito le donne, ma è ovvio che un’ondata moralizzatrice non può arrestarsi al solo genere femminile. L’attacco contro le donne è il più vistoso con il contatore, una propaganda martellante e nuovi sistemi in corso d’ideazione che mirano al lavaggio del cervello fino all’annullamento totale della personalità delle vittime, ma delle vittime fanno parte tutti coloro che non sono puri, i dissidenti, gli omosessuali, che il reverendo vorrebbe “curare” dalla loro perversione, altre categorie in un prossimo futuro, probabilmente le persone di colore, forse anche qualcun'altra. Gli echi con il nostro passato, con la nostra attualità, non fanno che rendere l’atmosfera ancora più inquietante. Vox è davvero solo fantascienza, cioè qualcosa che non esiste nella nostra realtà? Vengono i brividi a leggere le scene di normalità, quelle che mostrano una quotidianità talmente stravolta da non essere più percepita come anormale, non da parte degli uomini. Non tutti, se Jean ha la possibilità di fare qualcosa, dopo che la voce le viene temporaneamente restituita per cercare di curare il fratello del presidente che ha subito un trauma, è perché alcuni uomini lavorano insieme a lei. Anche il regime più totalitario contiene qualche pecca, sulla quale i personaggi lavorano in segreto per cercare di tornare alla normalità.
Dopo aver tratteggiato un presente inquietante Dalcher prova ad alzare ancora la posta. Quando il reverendo Corbin ha zittito le donne ha tolto loro la possibilità di fare qualsiasi cosa, ma ha potuto togliere loro il cervello. Quello sarebbe stato un obiettivo a lungo termine, con un’istruzione limitata mirata a quel che lui riteneva essenziale, ma persone come Jean e il suo team sono abituate ad analizzare i problemi di cui si occupano fin nei minimi dettagli, e questa propensione li porta a scoprire un piano più vasto di quel che avevano immaginato al principio. È qui che la trama perde un po’ della sua incisività. Se per oltre metà romanzo la discriminazione contro alcune categorie di persone ritenute inferiori è stata angosciante perché gli esseri umani hanno sempre operato discriminazioni, a volte con risultati drammatici, l’espandersi dell’obiettivo ne smorza la forza. Come la corrente di un fiume che è impetuosa fino a quando il letto è ristretto e rallenta quando ha la possibilità di dilagare a piacimento, così la storia si trasforma da una denuncia in una lotta contro uno psicopatico. Il rischio e la tensione sono sempre altissimi, ma la rabbia legata all’ingiustizia non c’è più e non può essere recuperata, mentre il finale risulta un po’ affrettato.
Piccole pecche, che smorzano un po’ quanto costruito da Dalcher all’inizio ma che non cancellano la forza dirompente di una distopia che ci ricorda quanto sia facile lasciarsi scivolare nel baratro senza accorgersene. Un romanzo che va letto e su cui è importante riflettere.
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