Maniacale, nevrotico, perfezionista fino alla patologia, fino a non riuscire a staccarsi dalle sue opere, fino a provare più piacere nel distruggere e ridipingere, che nella creazione ex novo. Parliamo di Edgar Degas, pittore, scultore, appassionato di litografie e monoliti, i materiali da lui preferiti erano quelli che offrivano la possibilità di rimaneggiamenti. Lui non era per l’eternità, odiava il concetto di immutabile, trovava sempre spazio per ripensamenti, miglioramenti a tal punto da richiedere le opere indietro, dopo averle vendute, morso dalla fissazione e dalle rimuginazioni e non per una paura del giudizio, bensì per una spinta alla perfezione che non gli dava pace.
Degas: passione e perfezione, questo il titolo del film diretto da David Bickerstaff, accompagna lo spettatore nelle sale del Fitzwilliam Museum di Cambridge, sede della più ampia collezione di Degas del Regno Unito, poi ripercorre gli anni di formazione di Degas a Parigi e in Italia, sia per il grand tour, sia per ricongiungersi col nonno paterno, René Hilaire De Gas, trasferitosi a Napoli a seguito della Rivoluzione francese.
La capitale del regno borbonico, Roma, Firenze, l’Umbria forniscono all’artista la possibilità di confrontarsi con i grandi del passato, non solo italiani e di conoscere artisti del presente con cui intesserà scambi e da cui prenderà spunti.
Una volta tornato a Parigi, dopo l’esperienza ricchissima italiana, volse i suoi interessi a farsi un nome e quindi a farsi notare dai critici del Salon, più si definiva la sua arte, più si chiarivano le sue personali istanze, più si allontanava da tutto l’apparato strutturale artistico dell’epoca. Insofferente ai dettami dell’arte accademica, Degas sviluppò una propria poetica, stimolato da Édouard Manet (proprio l’irriverente Manet che aveva sconvolto con la presentazione dell’Olympia), ispirandosi a un altro ribelle, dissacratore, straordinario artista: Gustave Courbet.
Allontanandosi dall’ambiente impressionista, studiò e si concentrò sulla presentazione realistica di scene di vita quotidiana: i suoi soggetti preferiti furono fantini, cavalli, con le loro movenze, con la plasticità a volte disturbante dei corpi, le ballerine, raffigurate non in medias res, non nel mezzo dell’azione (almeno a maturazione avvenuta), ma nei momenti di pausa, prima di iniziare, tra un atto e l’altro, quando cioè le caratteristiche di quell’esistenza faticosa emergevano e si faceva largo la disperazione e la preoccupazione di esseri impegnati nella lotta per la sopravvivenza.
Balletti, ma anche bordelli, corpi nudi (altro argomenti visitatissimo da Degas), impegnati a leccarsi come i gatti, concentrati sul proprio fare, ignari, o indifferenti alla possibilità di essere visti.
Le immagini di Degas non sono consolatorie, non tese a presentare la bellezza, ma la realtà, con le sue brutture, con la pelle pendente dal fianco piegato, il cuscinetto emerso da un’anca, la cellulite sul sedere di una donna intenta a lavarsi. Nessuna esaltazione del bello, forse la vera esaltazione del soggetto (quasi sempre donne) nella loro essenza, senza veli e senza bugie.
Per questa verità Degas è spesso stato considerato ai limiti della pornografia. Siamo ben lontani dalla bellezza dei nudi classici, dalla magnificenza dei soggetti epici, dall’orgoglio dei nudi impressionisti, siamo di fronte a un’umanità spesso misera e afflitta, guardata con gli occhi di un amante intenerito proprio da quelle piccolezze.
Il film documentario offre immagini meravigliose, sbalorditive di opere poco note, per esempio più di 150 sculture in cera, argilla e plastilina trovate nel suo studio, alla sua morte nel 1917, molte delle quali conservate proprio al Fitzwilliam Museum.
Per fortuna la parte fiction non è così invasiva e invadente. Per fortuna non estenua lo spettatore, forse perché la visione in originale, non è lacerata dal doppiaggio spesso enfatico.
Non ci resta che andare al cinema e buona visione.
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