Sei sconosciuti si trovano apparentemente per caso a condividere lo stesso destino. A tutti è stato recapitato un misterioso puzzle a forma di cubo, risolto il quale hanno ricevuto un biglietto per partecipare ad una escape room con in palio ben 10.000 dollari. La maggior parte dei partecipanti al gioco non sa bene di cosa si tratti e crede di essere stato invitato da un caro amico o dal datore di lavoro. C’è la ragazza reduce dalla guerra del golfo, lo yuppi in carriera, il nerd, la timida studentessa universitaria, il camionista e il ragazzo problematico. All’apparenza sono sei persone che non condividono nulla anche se presto scoprono che esiste qualcosa nel loro passato che li lega tutti.
Escape Room di Adam Robitel (Paranormal Activity: The Ghost Dimension, Insidious: The Last Key) è la versione teen movie di pellicole come Saw e Cube, che hanno fatto del risolvere enigmi sempre più mortali, il motore della narrazione. Ma se nei due film sopra citati sia la componente slasher con morti sempre più cruenti, sia quella cervellotica con enigmi molto complessi, era la chiave del film, in Escape Room tutto è edulcorato per un pubblico di soli ragazzini. I sei sfortunati finiscono in situazioni che li mettono in pericolo estremo, ma non si vede neanche per sbaglio una goccia di sangue. Anche gli enigmi ai quali devono partecipare richiedono uno sforzo fisico più che psicologico, e l’attenzione dello spettatore, dopo qualche scena di suspense, crolla drammaticamente.
Sull’epilogo della vicenda (non definitivo perché come sempre il sequel è nell’aria), nessuno si è preso la briga di pensarci troppo a fondo, lasciando la logica da un’altra parte. Detto questo Escape Room ha fatto il suo dovere e con 9 milioni di dollari è riuscito a incassarne solo nel Nord America 53,9 milioni per un totale in tutto il mondo di oltre 126 (Fonte BoxOfficeMojo). Nessuna pretesa se non quella di far cassa grazie a chi, al cinema, ci va davvero poco.
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