Malqvist raccattò la testa mozza dal selciato: gli occhi azzurri, l'orecchino, l'espressione esterrefatta di un biondino che a giudicare dal colorito doveva essere morto l'istante prima che ci inciampasse.
– È un lavoro di fino! – constatò impressionato. Una scia di sangue nero insudiciava l'acciottolato, e proseguiva fin dietro l'angolo di quel vicolo di lupanari, vespasiani, case d'oppio, gabinetti di alchimisti e mendicanti stesi al suolo.
Un quartiere come i tanti nella fogna di Handelbab.
Echeggiarono bestemmie, plausi, urrà e una voce da imbonitore che intimava un pagamento, i tintinnii inconfondibili di monete o di pepite.
Malqvist buttò la testa ai tre randagi spelacchiati che guaiolavano in un androne sbavanti infetti di fame e rabbia, seguì l'eco interessante del denaro e della folla. Lo intralciarono due sciacalli chini su un corpo decapitato: ne mozzavano le dita e si spartivano gli anelli, gli stivali, il cinturone e un collare allucciolato.
– È un bel colpo, un pezzo grosso! – sghignazzarono soddisfatti.
– Chi l'ha accoppato? – li apostrofò.
I due vigliacchi si impallidirono, gattonarono dal corpo:
– C'è un equivoco, noi non…
– Non ho alcun dubbio che voi due vermi non ne sareste capaci mai – li strinse al bavero, li alzò da terra e li costrinse a una parete: – ho appena udito un din-don di soldi, e la faccenda mi interessa.
– È Montoja, come il solito: contro il moccioso non c'è speranza. Andrà a finire che il vecchio Vashqa dovrà inventarsi un lavoro onesto.
– Ha stretto un patto con qualche diavolo, quel pederasta possiede libri…
– Non vi capisco: di che parlate?
Piagnucolarono non li picchiasse. Gli additarono un bambino che esultava su un palcoscenico, in una piccola e affollata piazza che si apriva in fondo al vicolo. Un grassone e due scimmioni con catene e manganelli riscuotevano scommesse da giocatori abbacchiati e increduli, e accettavano altre poste da accaniti a quella bisca. Spadaccini in giaco e guanti, dall'aria esperta ma il volto teso, confabulavano a lame in fodero coi secondi e mediatori, che insistevano a dissuaderli dal salire alla pedana.
Ma il ragazzino di un metro e un cazzo con quel ridicolo spadino, lassù sul palco, paonazzo e stridulo, lordo di sangue e budella altrui, continuava a spernacchiarli e strillare la sua sfida:
– Vi credete dei campioni, siete solo cacasotto! Misuratevi con me se avete fegato, codardi!
Malqvist sputò disprezzo e ridacchiò di quel moccioso. Il laido allibratore, spalleggiato dai due gorilla, gli venne accanto, si lisciò i baffi e gli ammiccò con intenzione:
– Sono Vashqa, il suo sensale: prendilo a sculacciate, se sei convinto di fare meglio. Hai acciaio e buoni muscoli.
– Che cosa ci guadagno?
– Ehi, c'è uno sfidante! – l'allibratore arringò la folla: e i giocatori gli si raccolsero tutti attorno, pispiglianti, lo guardarono curiosi e speranzosi di rivincita; impressionati dalla sua mole e la terribile bipenne. Racimolarono dai borselli quanto restava dei loro beni, lo raccolsero in un turbante:
– Cinque a uno su 'sto bestione!
– I miei soldi su Montoja!
– Metà posta: ti sta bene?
Malqvist sopportò quel sorrisetto canzonatorio e il brillio di fregatura nelle pupille di quel bastardo, guardò ancora al ragazzino tutt'eccitato sulla pedana che godeva degli applausi e gli faceva le boccacce. Ripensò alla testa mozza, quel fendente impressionante: non poteva essere il colpo di un rospetto brufoloso, quella lama da frocetto con la guardia ingioiellata…
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