1973. Lars Nystrom (Ethan Hawke), con lo pseudonimo Kaj Hansson, irrompe nella Sveriges Kredit Bank di Stoccolma. Sin dall'inizio non sembra una normale rapina. Minacciando di fare del male ai suoi ostaggi Lars, prima ancora di chiedere soldi reclama la liberazione di un rapinatore suo amico, Gunnar Sorensson (Mark Strong). Condizione accettata, sia pure con quale riluttanza, dalla Polizia . Le cose si complicano ulteriormente quando tra Lars e gli ostaggi, i in particolare Bianca (Noomi Rapace), sposata e madre di due bambini, sembra nascere un'intesa che li rende quasi complici.
Ostaggi e rapinatori sembra quindi coalizzarsi, con il comune obiettivo di sopravvivere a un intervento che si teme sanguinoso, con la Polizia che dopo l'iniziale stato di confusione comincia a essere ferma nel proposito di non cedere ad alcun ricatto, pressata anche dal primo ministro Olaf Palme (Shanti Roney).
Ne vengono fuori delle azioni bizzarre, quasi incomprensibili, facenti parte di una dinamica che da quel momento in poi ha assunto il nome di Sindrome di Stoccolma.
Il regista e sceneggiatore Robert Budreau, classe 1974, prima di lavorare a questo film ignorava quale fosse l'episodio che ha dato il nome alla Sindrome. Come probabilmente la maggior parte di noi. Il ricordo di quegli eventi è stato di grande impatto mediatico all'epoca, narrato dalla stampa di tutto il mondo in svariati articoli, tra i quali quello scritto da Daniel Lang e pubblicato sul New Yorker al quale il film si ispira.
Sia pur "ispirato a una storia vera", il film cambia quello che è necessario ai fini di rendere cinematografica la storia, tradendo la verità in favore della verosimiglianza.
Rimangono nel film tutte quelle bizzarrie che, se inserite in un'opera di completa finzione, la renderebbero altresì inverosimile. La realtà, è un luogo comune, supera talvolta di gran lunga la fantasia, risultando meno credibile.
Eppure i fatti sono accaduti, e la sostanza delle cose è quella.
Nella sua trasformazione in thriller psicologico, la vicenda si affida a una messa in scena semplice, con pochi set, molte dinamiche interpersonali e campi e controcampi serrati, senza quasi mai andare oltre la dimensione della figura intera. La rinuncia alla camera a mano non sminuisce il realismo. La scena non è mai veramente concitata, il che restituisce al tutto un effetto estraniante. Come se assistessimo a scene possibili solo in una specie di microcosmo alternativo, in cui tutte le regole di coerenza e sensatezza che conosciamo venissero distorte e alterate, come accade alle regole geometriche nelle geometrie non euclidee.
Il cast, bene assortito, regge sulle spalle quasi tutta l'operazione, fino ai comprimari. Il Nord Europa, è interpretato con gusto e garbo tutto canadese, con Hamilton, Ontario, a sostenere il ruolo di Stoccolma.
La struttura del film è inoltre tipica degli anni '70 sia nella resa cinematografica, che nella serrata e sintetica narrazione, che non dilata inutilmente la storia per riempire a vuoto oltre due ore, rimanendo in una lunghezza ormai inusuale di 92'.
Un film da vedere sia per conoscere e prendere lo spunto di approfondire delle vicende ormai poco note, sia per un intrattenimento tutt'altro che banale.
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