- Morte e pettegolezzi – Trama
- Il Diavolo è nei dettagli – Tecnica
- Non si cambia – Copione e attori
- Nostalgia canaglia – Conclusione
Dario Argento, Lucio Fulci, Mario e Lamberto Bava: gli “anni di piombo” hanno visto emergere molti registi italiani interconnessi da un immaginario pulp e horror che rispecchiava in versione deformata le paure e le violenze di quel periodo socialmente agitato. Nella lunga lista di autori è degno di menzione anche Pupi Avati, celebre per il suo lungometraggio di culto La casa delle finestre che ridono. Proprio Avati si trova oggi a presentare al pubblico Il signor Diavolo, trasposizione filmica di un romanzo dell’orrore da lui stesso scritto. É un ritorno a un cinema di genere da cui si era da tempo allontanato, ma questo viaggio nel suo retaggio fatica a creare una risonanza nel mondo contemporaneo.
Morte e pettegolezzi – Trama
1952, Furio Momentè (Gabriele Lo Giudice), basso impiegato del Ministero di Grazia e Giustizia, viene incaricato dai suoi superiori di studiare il caso di un omicidio avvenuto in quel di Venezia. Il quattordicenne Carlo (Filippo Franchini) ha ucciso Emilio (Lorenzo Salvatori), deforme figlio unico di una potente nobildonna che, a seguito della sventura, minaccia con la sua influenza di rivoluzionare le correnti politiche, denunciando nel frattempo l’arretrato bigottismo della regione.
Il crimine, apparentemente banale, rischia di distruggere il predominio veneto della Democrazia Cristiana, nonché la credibilità del clero stesso. La missione di Furio è quella di dimostrare che gli insegnamenti della Chiesa non abbiano coadiuvato a creare un’atmosfera di intolleranza e sospetto nei confronti della vittima, ma che siano stati elementi esterni a giustificarne in qualche modo il decesso. L’ispettore cerca di identificare i fatti, esplorando un mondo in cui la coesione sociale risulta inossidabile e il diverso viene spesso additato come demoniaco, scoprendo strada facendo il male che si annida nella normalità.
Il Diavolo è nei dettagli – Tecnica
Il signor Diavolo condivide molto, moltissimo, con La casa delle finestre che ridono. Non solo è un rappresentante di quello caratteristico “gotico padano” a cui si lega Avati, ma le riprese si sono svolte addirittura nello stesso, riconoscibilissimo, paesino di Comacchio. Un vero e proprio tuffo nel passato che cade a metà tra il nostalgico e il cercare rifugio in una comfort zone sospesa nel tempo.
La lettura malinconica dell’opera si palesa sin dai primi attimi: una scena splatter macchiata di sangue fintissimo, un fermo immagine trattenuto troppo a lungo e titoli di testa con un font vecchio di trent’anni. Viene applicato sin da subito il registro linguistico tipico dell’horror anni ‘70, si aprono le danze preparando il terreno per un’“obsolescenza” stilistica che si ripropone uniformemente anche sulla struttura registica e sulla fotografia.
Che si tratti di una scelta deliberata o un’inabilità cronica ad ammodernarsi (inabilità riscontrata peraltro in molti registi di genere, italiani e stranieri), resta il fatto che la pellicola sia flagellata da piccoli difetti che rendono l’esperienza tanto genuina quanto sciatta. La continuità degli oggetti di scena è inconsistente, il montaggio è goffo, lo slow motion viene ricavato “artificiosamente” rallentando la proiezione dei canonici 25 FPS: l’antitesi del perfezionismo su cui si sono elevati Stanley Kubrick e Werner Herzog.
Non si cambia – Copione e attori
Il libro de Il signor Diavolo affronta molti temi: le piccole tragedie dell’uomo medio, la crudeltà sociale nei confronti del diverso, il bigottismo, la critica politica. La trasposizione cinematografica, castrata da un minutaggio contenuto, prende tutti questi spunti e si limita ad accennarli, inificiando molte delle osservazioni di cui si fregia. A risentirne sono soprattutto i personaggi, cannibalizzati di profondità e spessore.
Pur avendo in mano un copione scarno, alcuni attori riescono ugualmente a destreggiarsi in performance memorabili. Due personaggi secondari, il sagrestano interpretato da Gianni Cavina e il don vestito da Lino Capolicchio, si stagliano in particolare su tutti gli altri, divorano la scena e catalizzano su di loro l’intera attenzione. Uno scarto tanto vasto è giustificato dal fatto che tanto Cavina quanto Capolicchio hanno storicamente collaborato con Pupi Avati – ambo hanno avuto ruoli principali ne La casa delle finestre che ridono – e ormai sono in grado di cogliere velocemente le direttive del regista, dando il meglio di sé in ogni scena.
Nostalgia canaglia – Conclusione
Sono pochi i registi horror degli anni ‘70 che sono stati capaci di preservare il proprio mordente fino a oggi. Il motivo è semplice: la paura è un sentimento che varia col variare della società, mentre i registi tendono a voler esternare nei loro lavori le paure vicine alla loro esperienza personale.
Gli horror non commerciali sono cristallizzazioni di intimità, squarci momentanei nella psiche di un individuo. Il signor Diavolo è in tal senso un’opera molto personale, una panoramica spontanea e onesta su un approccio al cinema che è stato ormai fagocitato dalla storia. Un film immancabile dai fan dell’orrore-passé che verrà accolto con affetto dai cinefili, ma debole sotto ogni aspetto tecnico.
Il signor Diavolo
Regia di Pupi Avati
Con Gabriel Lo Giudice, Filippo Franchini, Massimo Bonetti, Alessandro Haber, Gianni Cavina, Lino Capolicchio, Eva Antonia Grimaldi, Chiara Caselli, Enrico Salimbeni, Fabio Ferrari
Scritto da Antonio Avati, Pupi Avati, Pupi Avati, Alvise Avati
4 commenti
Aggiungi un commentoNon riesco a concordare sulla critica all'inadeguatezza tecnica della pellicola, si narra di paure ataviche, le stesse vissute da Pupi bambino; il territorio ha in sé qualcosa di antico, non a caso si presta assai bene alle influenze lovecraftiane, l'ambientazione dev'essere per forza così come Avati l'ha realizzata, un taglio più moderno ne avrebbe distrutto il climax. I volti degli attori e il loro trucco iperreale, bastano quelli per donare lo spessore di un orrore che è tutt'altro che alla portata umana e che divora, come un'ideologia.
Non sono convinto sia un'opera perfetta, ma dal mio punto di vista dirotterei i dubbi su alcuni passaggi del film che mi risultano tuttora poco chiari - o forse mal sviluppati, chissà... Dovrei dare una seconda visione al film.
Il Sig. Diavolo é uno di quei titoli che mi é stato difficile recensire. Da amante del genere, colgo le sue radici e le apprezzo, mi ha intrattenuto. Gli riconosco anche molti elementi potenzialmente interessanti (le illusioni di gloria del mediocre protagonista, il discorso politico, la critica alla violenza verso il diverso ecc.), ma trovo che gli spunti siano cannibalizzati, mal sviluppati. Avati non ha avuto cuore di tranciare elementi di colore del suo stesso libro, ha voluto toccare superficialmente ogni elemento, ma a discapito della profonditá narrativa.
La questione dell'approccio tecnico é quella che piú mi ha lasciato indeciso. Sono d'accordo con te sul fatto che scelte moderne sarebbero andate a demerito dell'opera del regista, ma ritengo che questo sia dovuto a una limitazione dell'autore, piú che una condizione assoluta. Un rinnovamento forzato fa sicuramente danni (vedi il Dracula di Dario Argento), ma esistono numerosi esempi virtuosi. Nel caso specifico credo il paragone piú pertinente possa essere quello con La spina del Diavolo di Guillermo del Toro, capolavoro ambientato nel '39, perfettamente in grado di padroneggiare tecnica e ambientazione. Non so dirti se Avati abbia percorso a ritroso la sua carriera a causa di inabilitá professionali (ma ne dubito) o come escamotage per rientrare in un budget di cui non ci é dato sapere la portata, ma confido la sua scelta sia giustificata e che il percorrere una strada diversa avrebbe portato a destinazioni disastrose. Questa consapevolezza non innalza tuttavia il valore di un'opera che, tutto sommato, impallidisce all'ombra degli epocali capolavori dell'horror.
Sì, sono d'accordo sul fatto che in alcuni momenti - soprattutto rivisti mentalmente dopo la fine del film - la sensazione che qualcosa sia stato tirato via c'è; il finale, soprattutto, che devo assolutamente rivedere perché qualcosa mi sfugge tuttora, e anche la profondità di certi personaggi, come la madre del ragazzo deforme, hanno uno spessore evanescente, non ben comprensibile. Quest'indefinita caratura dei personaggi può però essere a sua volta un punto di forza, perché tutto rimane in un limbo dove si possono assegnare determinati significati alle scene o anche il loro contrario... Senza contare che c'è anche un certo discorso politico sotto - i comunisti mangiano i bambini.
In ogni caso, al di là di questi discorsi, credo che Il signor Diavolo sia un film da vedere e apprezzare, fosse solo per le suggestioni livide che dissemina a piene mani, pur avendo a disposizione un budget probabilmente limitato
Chiudendo, non parliamo certo dell'immenso Suspiria di Guadagnino - anche concettualmente Avati lascia diverse pedine sul campo che non gli permettono di far assurgere all'opera lo status di capolavoro - però questo weird nostrano io lo proietterei nelle scuole, ecco
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