Jack London, noto al mondo per il classico Zanna Bianca, è stato un prolifico autore statunitense i cui capolavori sono perlopiù rimasti criminalmente alieni alla cultura di massa. Martin Eden è sicuramente uno dei titoli più personali e brutali del corpus dello scrittore, ma proprio la sua carica di eversiva frustrazione ha fatto sì che l’attenzione popolare lo disertasse in favore di scelte più digeribili. A distanza di 120 anni dalla sua pubblicazione, una produzione congiunta italo-francese prova ad riadattarlo per il grande schermo, creando una pellicola di gran gusto.
Il figlio del mare – Trama
Durante un pestaggio, Martin Eden (Luca Marinelli), rozzo marinaio napoletano, viene in soccorso al giovane Arturo Orsini (Giustiniano Alpi), rampollo di una famiglia dell’alta borghesia industriale. Riconoscente, il ragazzo presenta il suo salvatore ai parenti, finendo con l’introdurlo anche all’ammaliante Elena (Jessica Cressy), sua sorella. Abituato alla vita proletaria, Martin si infatua istantaneamente di questo mondo a lui alieno e ancor più si lega all’attraente e istruita donna, decidendo di intraprendere un percorso di formazione per divenire degno di una classe sociale che non aveva mai compreso.
Pregno di nuova consapevolezza, Eden inizia a raffinare le sue esperienze di vita riversandole in articoli e racconti regolarmente rifiutati dalle case editrici. Attanagliato tra le aspettative della sua amata, le frustrazioni professionali e le necessità creative, lo scrittore si imbarca inconsapevolmente in una serie di scontri classisti e sociali che stravolgeranno la sua percezione del mondo.
Mari del Sud – Tecnica
Prodotto e diretto da Pietro Marcello (In bocca al lupo), Martin Eden è un film di lenta fruizione, sono infatti necessari diversi minuti per entrare in risonanza con le atmosfere di cui si fregia. Forte del suo retaggio nella sfera documentaristica, il regista offre un’opera atipica che svicola dalle norme comunemente stabilite dalla fiction per offrire un’esperienza ibrida nella quale prosperano diversi generi, cinema napoletano compreso.
Per evitare le problematiche di un adattamento bastardo, Marcello ha piuttosto deciso di trasferire la fatica londoniana tra le strade di Napoli, città da lui già ampiamente esplorata ai tempi di Scampia, una scelta che si riflette con inaspettata garbatezza anche sul girato stesso. La raffinatezza della narrazione si estende anche alle direttive cronologiche della trama: confuse e rimescolate dall’inclusione di materiale di repertorio, queste conducono a un tempo sospeso e imprecisato del passato, un acronico universo che risiede sincronicamente in tutti i periodi del XX secolo.
Tre cuori – Attori
Luca Marinelli ruba la scena. La sua performance regge l’intera pellicola, tutti gli altri non sono che comparse atte a sostenerlo, enfatizzando all’estremo la prospettiva egocentrica che caratterizza il personaggio. Noto per aver interpretato “Zingaro” in Lo chiamavano Jeeg Robot, Marinelli dimostra nuovamente di saper vestire i panni dell’uomo di strada, di padroneggiare accenti e cadenze, di sapersi muovere in maniera convincente negli ambienti “proletari” partenopei.
Meno riuscita è la rappresentazione dell’Eden come autore famoso che indulge nel solipsismo edonistico e decadente. Troppo spesso egli viene rappresentato con atteggiamenti di apatico nichilismo, calzanti per il ruolo, ma che ne limitano significativamente la carica empatica. Più che attoriale, qui la scelta sembra essere registica: favorire la componente sociale a quella analitico-introspettiva per affinare il messaggio della narrazione, ma sacrificando parzialmente la complessità dell’epilogo. Elogio va fatto alla franco-polacca Jessica Cressy, riuscitissima Elena Orsini, bella e intrigante, e a Carlo Cecchi (Il bagno turco, Seta), magistrale nei rari attimi di presenza del suo Russ Brissenden, mentore e amico di Eden.
L'imprevisto – Conclusioni
Pietro Marcello ha sintetizzato una pellicola elegante, che permea lentamente nello spettatore fino a toccarlo intimamente. Martin Eden si ispira al libro originale, non lo ricalca completamente, ma ne preserva lo spirito e i contenuti, evidenziando con foga la critica all’individualismo che era stata scarsamente colta dai lettori dell’epoca. Si tratta di una storia amara e profonda proposta con stile e consapevolezza, un’opera di notevole impatto che potrebbe finalmente far notare Marcello al grande pubblico.
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