L’Antropocene sarebbe, secondo alcuni accademici, l’era geologica caratterizzata da una terraformazione fortemente dipendente dall’intervento umano, spaziando di fatto dal neolitico fino alla contemporaneità. Questa etichetta, a oggi non riconosciuta né dalla Commissione internazionale di stratigrafia né dall’Unione internazionale di scienze geologiche, viene fortemente sostenuta dall’Anthropocene Working Group (AWG), una congrega di scienziati che mira a sensibilizzare l’opinione comune sugli impatti devastanti dell’attività umana sulla natura. In Antropocene – L’epoca umana, i registi/artisti Jennifer Baichwal, Edward Burtynsky e Nicholas de Pencier seguono sul campo i ricercatori AWG, testimoniando in video gli stravolgenti panorami a cui assistono.
Contenuti
Il documentario è solo parte del più ampio The Anthropocene Project in cui si sono impegnati i tre autori. Parallelamente al lungometraggio, sono state ideate una mostra (ospitata fino a gennaio dal MAST di Bologna), un libro d’arte e una serie di esperienze in realtà aumentata. Pur considerando la sua appartenenza a un progetto più ampio, L’epoca umana preserva una sua autonomia ed è fruibile nella sua indipendenza, ma è anche fortemente strutturata sul codice linguistico proprio agli spazi d’arte, con tempi e forme che funzionano al meglio quando si svincolano dalla narrativa esplicita per immergersi nella suggestione. Una serie di immagini, insomma, da fruire con calma devozione.
Contenutisticamente, il documentario non prova neppure a millantare un approccio di oggettività accademica: colpisce immediatamente con immagini crude e spietate. Gli intenti sono dichiarativi, quasi propagandistici, non lasciano spazio ad ambiguità interpretative. L’intervento umano è invasivo ed evidente, magistralmente testimoniato da un viaggio attorno al globo accompagnato quasi esclusivamente da musica e suoni. Carrara, Garzweiler, Kenya, il traforo del Brennero, barriere coralline e molti altri scorci paesaggistici segnati dall’intervento umano ritmano la metratura con panoramiche di affascinante inquietudine. Uno spettacolo sublime che si insedia emotivamente nello spettatore fino a sfociare in una serie di annotazioni recitate da Alicia Vikander (Ex Machina, Tomb Raider).
Tecnica
Nell’unire le forze, Baichwal, Burtynsky e de Pencier offrono una competenza tecnica di notevole impatto. Cromia e fotografia, in particolare, garantiscono molte inquadrature di pregio ulteriormente valorizzate da un sound design evocativo.
Detto questo, l’essere a cavallo tra opera d’arte e intenti divulgativi pone Antropocene – L’epoca umana in una crisi esistenziale che le inibisce il raggiungimento dell’eccellenza. La decisione di offrire un’analisi ampia e orizzontale, di esplorare l’intero globo per carpirne le peculiarità, si traduce in una visione superficiale, quasi voyeuristica da cartolina. Molte scene suggestive sono castrate dalla necessità di andare oltre o, peggio ancora, di ampliare il frame per fornire agli spettatori una didascalica lettura d’insieme. Fin troppo spesso una composizione perfetta ed equilibrata viene tradita da un precoce movimento di camera, come se gli autori diffidassero della capacità di concentrazione del pubblico.
Conclusioni
Il materiale raccolto sarebbe stato perfetto per una serie di corti artistici dalla poetica profonda (si veda Il capo di Yuri Ancarani), ma il formato adottato ne limita prepotentemente le possibilità, confinandolo a uno slide show manieristico, seppur stilisticamente impeccabile. Viviamo in un periodo in cui l’attenzione pubblica è già massivamente catalizzata dalle preoccupazioni climatico-ecologiste, L’epoca umana intraprende un percorso già battuto senza aggiungervi nulla di personale: affronta evocativamente un tema che è di vitale importanza, ma non introduce nuovi argomenti o nuove argomentazioni.
Diversamente dal An Inconvenient Truth di Al Gore, uscito in un periodo di disinteresse e spinto da un personaggio influente, l’opera del trio Baichwal, Burtynsky, de Pencier è destinato a raggiungere esclusivamente un’utenza già formata, rimarcando il senso di appartenenza da parte di chi è già convinto piuttosto che sfidare le convenzioni. Si tratta in sostanza di un prodotto di ottima manifattura, ma nell’essere così lapalissiano e indulgente è più prossimo a concretizzare una forma di pornografia ambientalista che a stimolare alte ambizioni artistiche o genuini istinti rivoluzionari.
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