Christian Antonini, milanese, co-fondatore nel 2010 della rivista Altrisogni, ha attraversato diversi generi letterari nei suoi romanzi, dall’urban fantasy, Detective stories: memorie dalla città dei morti (0111 Edizioni, 2009), allo storico, Legame Doppio, (Asengard, 2010), alla fantascienza, Assalto alla luna ribelle (dBooks, 2015), all’horror, E venne la bestia (Il Ciliegio Edizioni, 2016), per poi approdare alla narrativa per ragazzi con la casa editrice Giunti, con i romanzi Fuorigioco a Berlino (2016) vincitore del Premio Selezione Bancarellino e del Premio Nazionale Il Gigante delle Langhe, Una lettera coi codini (2018) e I Ribelli di Giugno (2019).
Al di là della tua produzione letteraria, che persona è Christian Antonini nella vita di tutti i giorni?
Ciao! Credo di essere una persona molto fortunata, perché alla fine riesco a lavorare su quella che è una delle mie passioni più grandi: creare e raccontare storie. Detto questo, sono anche un appassionato di storie fantastiche, di tecnologia, di giochi e di storia. E in alcuni casi trovo passatempi e progetti a cui dedicarmi che riuniscono tutti questi interessi. Mi piacciono gli animali, mi piace la vita tranquilla, i grandi spazi e le grandi città, il silenzio e anche la solitudine, ma mi trovo a mio agio in mezzo alla gente e in contesti sociali. Insomma, ho i miei contrasti, come tutti, le mie contraddizioni. Mi piace leggere, ovviamente, mi piace il cinema, mi piacciono i giochi intelligenti e mi piace ridere. Ecco, sì, rido tantissimo.
Quando e perché hai iniziato a scrivere?
Dopo aver visto Guerre Stellari per la primissima volta (era il 1979) ho deciso che avrei scritto la versione migliorata di quella storia. Ho preso una macchina per scrivere e ho prodotto la prima parte del mio capolavoro. Per fortuna incompleto. Il protagonista si chiamava Walter e scappava da un Governatore dello spazio, armato delle sue bolas laser. Per fortuna non esiste più alcuna traccia di quella storia orrenda. Poi mi sono ritrovato a scrivere per delle riviste (dal 1992 in avanti). Riviste di giochi da tavolo e di ruolo, poi riviste di videogiochi. In seguito sono arrivate quelle di tecnologia, di giardinaggio, di enigmistica, di informatica e Internet, i volantini dei grandi magazzini e i siti. Solo intorno al 2000 ho (ri)cominciato a scrivere narrativa. Sentivo di avere dentro una storia che volevo raccontare, ma ancora non sapevo come. Con quale forma. Ha prevalso la forma del romanzo.
Come sei entrato nel mondo della scrittura?
Con molta fatica. Con molta costanza e determinazione. E con molti errori. Ho cominciato insieme a un amico, Christian Hill, ora ottimo autore per ragazzi anche lui, ma anche sceneggiatore. Scrivevamo insieme (nello stesso tempo) il nostro primo romanzo, dandoci manforte. Abbiamo creato assieme ad altri due amici il Circolo dei Narratori Tenaci, un piccolo gruppo di aspiranti autori. Ci trovavamo periodicamente e ci davamo degli esercizi da svolgere. Per esempio, uno di noi suggeriva un tema e un altro suggeriva genere. E questi diventavano i parametri del racconto che avremmo presentato e discusso all’incontro successivo. Poi sono arrivati i primi forum di aspiranti autori, con i consigli di scrittura, le recensioni, le segnalazioni di case editrici e premi letterari. Proprio i premi e le selezioni letterarie mi hanno aiutato molto. La scadenza, il limite di battute, il rispetto di parametri stilistici e generi mi sono serviti. Seguivo tantissimo La Tela Nera e Scheletri.com. Poi ho scoperto che stava aprendo i battenti Asengard Edizioni e che era interessata a valutare esordienti assoluti. Era un’occasione che non potevo lasciarmi scappare. E l’ho colta.
Con la casa editrice Giunti sembra esserci ormai un sodalizio ben collaudato. Puoi parlarci del rapporto che hai con il tuo editore?
È una bellissima collaborazione e mi trovo molto bene. L’ufficio stampa ed eventi è una vera “macchina da guerra” con persone molto professionali e preparate che prepara la strada. Gli incontri con le scuole e le partecipazioni ai festival mi permettono di far conoscere i miei romanzi a molti lettori. Giunti mi invita a mandare nuove idee e storie che spesso vengono discusse durante fiere e momenti di incontro. La Fiera di Bologna (Bologna Children Book Fair) è un salone eccezionale per incontrare la redazione di Giunti e mettere sul tavolo nuove idee. Siamo arrivati così a tre romanzi pubblicati e un buon numero di progetti avviati. L’editing è di altissima qualità, non solo formale, anche di contenuti discussi ancora in fase di progettazione, in modo da andare nella strada migliore. Sono molto soddisfatto della strada che sto percorrendo.
I ribelli di Giugno è il tuo ultimo romanzo, una storia che affronta un argomento molto duro, come le persecuzioni razziali durante la seconda guerra mondiale. Puoi raccontarci la genesi di questo lavoro?
Ho amici molto in gamba. Che fanno parte di una realtà unica e speciale che si chiama Book on a tree. Si tratta di un vero e proprio circolo creativo collaborativo in cui ci si scambia idee, si offre e si ottiene aiuto, ci si segnala opportunità ed eventi. Nello spirito di Book on a tree mi trovo a mio agio. No, ci sguazzo. Un giorno ricevo un’email da Pierdomenico Baccalario, il quale mi segnalava la storia di Aristide de Sousa Mendez, il console portoghese in Francia. Pierdomenico mi invitava a scriverci qualcosa, perché la sua storia meritava di essere raccontata, anche perché da noi era praticamente sconosciuta. All’inizio non riuscivo a centrare la mia prospettiva su questa vicenda. Abbiamo chiacchierato a lungo, è nata l’idea di raccontare la sua storia narrando le vicende di un ragazzo – un vero ribelle – che sarebbe entrato in contatto con lui. Ho sviluppato il plot, ne abbiamo discusso ancora Pierdomenico e io e l’ho presentato all’editore. Giunti mi ha chiesto dei capitoli di prova. Una volta che questi sono stati approvati è partito il lavoro di scrittura (nel frattempo mi ero debitamente documentato – una fase che mi piace molto). Scrivere questo romanzo è stato molto importante ed emozionante. È stato un vero privilegio. Ora è in finale per Il gigante delle Langhe e mi sta facendo viaggiare molto.
Quanto c'è in questo romanzo, e magari in generale nelle tue opere, di scritto di getto e quanto di rivisto più volte? Insomma, qual è la tua “tecnica” di scrittura, se ce n'è una?
Come narratore le mie origini sono nel gioco di ruolo (quello “da tavolo”, dove si parla, non quello dove si clicca). Sono stato un master per due terzi della mia vita e questo significa che sono abituato a pianificare, a creare ambientazioni e trame. Tutto questo, portato nella scrittura, comporta un fortissimo lavoro di preparazione. Ancor prima di scrivere i periodi d’apertura preparo l’intera sequenza degli eventi, caratterizzo i personaggi, stabilisco lo sviluppo e il finale. Faccio moltissima ricerca. Mi documento sui luoghi da descrivere, sugli odori, sui sapori e sugli elementi di interesse per i personaggi che devono vivere la mia storia. Una volta preparato “il piano operativo” comincio a scrivere. E per tutto il tempo ho la storia in testa e (almeno) un taccuino in tasca, su cui segno spunti, idee, dettagli, frasi che mi raggiungono nella mia quotidianità.
Non aspetto l’ispirazione. Vado a stanarla. A volte, però, è davvero difficile e la vita irrompe nei miei momenti di scrittura.
Scrivo di getto. Rivedo con calma. Di solito mi piace lasciar sedimentare, stampare e rileggere dopo almeno venti giorni. A volte non è possibile e devo correre.
Puoi descriverci una giornata tipo di scrittura?
Mi alzo presto, intorno alle 6:30, vivo la famiglia e la vita di casa con tutto quello che comporta (bambina da portare a scuola, cane da portar fuori, commissioni), poi rientro a casa intorno alle 8:30. Controllo la posta, apro i miei file, gli schemi, scrivo.
Quando il ritmo cala cerco la musica adatta per restare in atmosfera. Quando cala di nuovo prendo aria: mi distraggo, leggo, guardo qualcosa. Preparo il pranzo, scrivo ancora nel pomeriggio. Molto spesso, però, questo non funziona perché la mattina devo svolgere qualche altro lavoro (collaboro come social media manager con un’agenzia di Milano) oppure ci sono trasferte, incombenze, impegni. E poi c’è la famiglia. E allora, molto spesso, la scrittura viene relegata a “tempi rubati”. La sera, per esempio, spesso fino a tardi. Mentre altri sono a divertirsi, a guardare serie TV, a uscire con gli amici, io scrivo. Oppure la mattina presto. Spesso il sabato e la domenica mattina, mi alzo anche alle 6:30 e scrivo mentre la famiglia dorme. Perché poi la giornata irrompe con tutti gli impegni di sempre e non c’è più spazio per la scrittura. Le trasferte sono preziose: scrivo in metropolitana, scrivo in treno, scrivo in albergo.
Che importanza ha un agente letterario per un autore? Come sei venuto in contatto con lui? Consiglieresti un agente letterario a un autore alle prime armi?
Credo sia molto importante, almeno nel settore per ragazzi, perché permette di raggiungere l’attenzione della casa editrice. Il potere di intermediazione contrattuale e la competenza tolgono all’autore il “carico” di doversi occupare degli aspetti contrattuali, del cercare un editore, una cosa non da poco. Inoltre l’agente ha l’esperienza e le capacità per suggerire un corso d’azione, una modifica, una storia o il taglio giusto.
Io sono venuto in contatto con Book on a tree grazie a un incontro fortuito, avvenuto per puro caso durante una SMAU dei primi anni del 2000. In quell’occasione avevo appena pubblicato il secondo romanzo e ne ho regalato una copia alla persona che avevo incontrato. Questo ha generato una serie di eventi che mi hanno portato ad accettare un incarico di scrittura su commissione (un intero romanzo in tre mesi, secondo parametri ben definiti). Ho portato a termine il compito con soddisfazione di tutte le parti coinvolte ed è stato un po’ un “provino”. Il resto è storia. Sì, consiglio di cercare un agente, di sicuro. Ma consiglio di farlo essendo preparati: prepararsi una storia ed essere pronti a presentarla in pochissimo tempo aiuta. Come anche recuperare un po’ di esperienza mettendosi alla prova, visitando fiere, seguendo presentazioni e… leggendo tantissimo e di tutto.
La fortuna bussa alla porta di chiunque, è importante farsi trovare pronti quando si va ad aprire.
Puoi anticipare ai nostri lettori a che cosa stai lavorando in questo momento?
Ho appena concluso l’editing del prossimo romanzo, una storia d’avventura nell’America della Grande Depressione, che unisce la vicenda di una ragazzina e della sua cavalla al mondo dei “Nemici pubblici”. Però prima di questo uscirà un romanzo d’avventura pura, con pirati, spie, tesori e idrovolanti, la cui scrittura è stata tanto difficile quanto emozionante. Si tratta di un romanzo breve e il piglio della storia d’azione, i colpi di scena e la sequenza di eventi da mettere in poche battute ha costituito una sfida molto interessante.
Alle tante ragazze e ai tanti ragazzi che vogliono intraprendere il mestiere della scrittura, che consigli ti senti di dare?
Di essere onnivori. Versatili. Pronti. Prepararsi, scrivere tanto e scrivere sempre. Il fatto è che se si aspettano le condizioni migliori per scrivere (“quando avrò tempo”, “quando avrò la mente libera”, “quando sarò a posto con il lavoro”) non lo si farà mai. Il momento giusto per farlo è adesso. Molla quel gioco, quella serie TV, rinuncia a quella birra con gli amici (o rimandala) e scrivi. E cimentati, misurati, confrontati. Leggi tanto, leggi tutto, soprattutto le cose che di solito non leggi: a occhi aperti.
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