- Trama – Sesso e bugie
- Tecnica – La lampadina galleggiante
- Attori – Pura anarchia
- Conclusioni – Effetti collaterali
Woody Allen torna alla carica con una commedia pregna di striature romantiche e lo fa immergendosi nella sua amatissima Manhattan. Il risultato è godibile, ma schiavo degli archetipi narrativi del regista.
Trama – Sesso e bugie
Ashleigh (Elle Fanning), giovane studentessa dalle origini rurali, si ritrova quasi per caso incaricata dal giornale del college di intervistare il suo regista preferito, Roland Pollard (Liev Schreiber). Tale intervista, da tenersi a New York, offre al fidanzato di lei, Gatsby (Timothée Chalamet), l’occasione per organizzare un romantico week-end. Due giorni per esplorare ristoranti raffinati, lounge bar e tutte le peculiari bellezze della complessa metropoli.
Manhattan tuttavia ha piani differenti. Il forte senso autocritico e autodistruttivo di Pollard finisce col complicare l’impegno giornalistico della ragazza, forzandola a stravolgere i piani pomeridiani pur di mettere le mani su uno scoop che potrebbe rivoluzionare la sua intera carriera. In un attimo il fine settimana va in fumo, la coppia si ritrova spezzata tra i caotici eccessi del jet set e i fantasmi di un retaggio mai digerito e la loro relazione viene messa alla prova da una serie infinita di imprevisti.
Tecnica – La lampadina galleggiante
Il personaggio di Gatsby, vero protagonista della vicenda, vive in un mondo retrò dall’indubbio fascino e dall’eleganza atempore, un universo nostalgico che stride violentemente con l’immagine della frenetica vita contemporanea. È una lettura romantica di Manhattan, uno squarcio soggettivo proprio del regista Woody Allen (Midnight in Paris, Amore e Guerra) che si riflette su ogni singola scelta registica. Dai titoli di testa al tono della recitazione, dalle inquadrature ai ritmi delle scene, ogni elemento contribuisce a ricreare le scelte stilistiche tipiche dei film anni Quaranta.
In tal senso sono encomiabili gli sforzi del direttore della fotografia, Vittorio Storaro (Apocalypse Now, Il piccolo buddha), il quale ha trovato un notevole equilibrio tra manierismo d’epoca e sensibilità odierna, assecondando un atteggiamento atipico senza cadere nella stucchevolezza. Allen, abile nella regia, riesce meno come autore della sceneggiatura. Gatsby è l’ormai archetipale anti-eroe alleniano: intellettuale, cinico, sibarita, di buon cuore, insoddisfatto dalla normalità. Ashleigh, più che coprotagonista, si rivela un bersaglio umanoide di demenza patologica, un escamotage semovente la cui utilità si confina nell’enfatizzare la superiorità dei newyorkesi sulla volgarità provincialistica. Si tratta di un teatro delle maschere in cui emergono poche intuizioni e molti topos.
Attori – Pura anarchia
Come spesso capita ai protagonisti di Woody Allen, Timothée Chalamet (Interstellar, Lady Bird) si trova a dover divorare tutte le scene in cui è presente, stagliandosi come la presenza più memorabile dell’intera pellicola. L’unico ruolo capace di tenergli testa è quello, tutto sommato marginale, del personaggio interpretato da Selena Gomez (Hotel Transylvania, Hotel Transylvania 2), starlette e cantante di origine disneyana mai adeguatamente addestrata al mondo attoriale.
Elle Fanning (Maleficent, Super 8) interpreta una piacente e impacciata ragazza di campagna. Insopportabile, poco elegante, tutt’altro che erotica, sembra essere, sia per forma che per interazioni, la parodia inversa dell'audace e fatale protagonista che aveva interpretato in The Neon Demon. Fanning stupisce per la sua versatilità, dimostrando un certo talento in tutto quello che fa, anche nel rendersi sgradevole.
Alla pellicola partecipano anche Liev Schreiber (Wolverine: le origini, L’isola dei cani), Jude Law (Sherlock Holmes, Animali fantastici – I crimini di Grindelwald) e Diego Luna (The Terminal, Elysium), ma il copione li costringe in parti tanto marginali da non mettere in risalto talenti che li hanno resi celebri. Sarebbero potuti essere sostituiti da colleghi meno navigati e la pellicola non ne avrebbe risentito.
Conclusioni – Effetti collaterali
Sarebbe menzognero suggerire che Un giorno di pioggia a New York sia malfatto, è curato nei dettagli e lo humour si dimostra capace di strappare parecchie risate, eppure la pellicola risulta permeata da un sottile velo di logorio. Fa molto poco per distinguersi dagli archetipi che hanno accompagnato gli ultimi dieci anni della carriera di Woody Allen, ma tutto sommato ciò non va di per sé a svilire il valore dell’opera, semplicemente ne depotenzia l’impatto.
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