7. Canali e canali

Come nasce il nostro immaginario sui marziani? Perché come popolazione di fantasia – da Welles a Dick, da Asimov a Clarke, da Brackett a Bradbury – si è imposta con tanta forza rispetto ad altri ipotetici vicini quali sarebbero potuti essere, ad esempio, i venusiani?

Tutto sembra essere nato da un errore di traduzione dall'italiano. Più che altro da una traduzione avventata della parola canale. Alla fine dell'Ottocento l'astronomo Giovanni Virginio Schiaparelli tracciò una mappa della superficie del pianeta rosso che studiava da anni dall'osservatorio di Brera. Il territorio marziano presentava delle linee che potevano sembrare depressioni sul suolo. Le chiamò, appunto, canali. La mappa venne pubblicata dall'accademia dei Lincei e poi ripresa e tradotta in francese e in inglese, lingua quest'ultima che ha un vocabolario molto più ampio di quello italiano e quindi spesso termini più specifici, sfumature semantiche che talvolta in italiano mancano.

Canali, che in italiano indica dei solchi sul terreno a pre­scindere dalla loro eventuale natura artificiale, poteva essere tradotto con channels – che  indica  spesso  formazioni  erosive create spontaneamente da flussi d'acqua di portata più o meno rilevante, come ad esempio il canale della Manica e il canale di Sicilia – o canals -  corsi d'acqua artificiali creati per la navigazione, l'irrigazione, il drenaggio – come ad esempio il canale di Suez o quello di Panama.

Il traduttore fece la scelta sbagliata. E l'astronomo americano Percival Lowell restò oltremodo affascinato dall'ipotesi di questi enormi navigli marziani visibili dalla Terra costruiti da questi nostri vicini planetari con il pallino dell'ingegneria.

L'equivoco – unitamente  al fatto che il giorno  marziano, il sol, è quasi uguale a quello terrestre (24 ore, 39 minuti, 35 secondi marziani contro 23 ore, 56 minuti e 4 secondi terrestri) e che anche l'inclinazione è abbastanza simile (25,19 gradi contro i 23,45 gradi terrestri) – ha dato luogo al fiorire di fantasie sugli extraterrestri del quarto pianeta. Sono convinta che abbia giocato un ruolo decisivo anche la suggestione dell'idea di non dover andare poi così lontano per trovare altre popolazioni da molestare dopo aver saccheggiato continenti, distrutto fiorenti civiltà, depredato culture, ridotto in schiavitù esseri umani che se ne stavano in pace per i fatti loro, portato all'estinzione innumerevoli specie terrestri.

Alla fine, per completezza  d'informazione, i canali di Marte non erano né canalschannels. Semplicemente non  erano canali, ma mere illusioni ottiche create dalla mente umana probabilmente sulla base di quei fenomeni che la scuola della Gestalt codificò nei suoi principi dell'organizzazione percettiva.

Io penso a Marte, ma devo affrontare il più impellente problema del nome della nonna di Adelasia. L'ho notato soltanto adesso, a cose avviate: la sorella di Carolina e Flandina ancora non ha un nome.

Una possibilità sarebbe lasciarla senza, riferirvisi solo come "nonna". Ma è vero che questo mi creerebbe alcune difficoltà nel narrare il passato di Rocca Musciaro, con le sorelle che in qualche modo devono interagire fra loro. Riuscirei a utilizzare sempre il discorso indiretto e scrivere "la nonna di Adelasia" o "la nonna"? Mi sembra una complicazione inutile. Un nome ci vuole.

Potrei chiamarla Luisa, come la mia, ma si riproporrebbe quella possibile rogna con i parenti. Con Luigia farebbero questioni? Certo, è una presa in giro evidente, ma potrei sempre fare la gnorri. Luigia e Luisa, mica lo stesso nome.

O forse Luigina. "Carolina, Luigia e Flandina" o "Carolina, Luigina e Flandina"?

Luigina avrebbe il vantaggio dell'analogia con i nomi delle sorelle, e soprattutto di camuffare ulteriormente il nome di mia nonna; Luigia però probabilmente è meno ridicolo, proprio perché darebbe luogo a un tris di nomi propri meno caricaturale, e poi risulta forse più altisonante e coerente all'idea di nobiltà che in qualche modo voglio cercare di richiamare con la famiglia di Adelasia, almeno nell'eco scolastica di quella Pallavicini caduta da cavallo cui Foscolo dedicò un'ode.

Luigia, o Luigina, somiglierà inevitabilmente a mia nonna Luisa, la nonna che si traduceva e che non insegnò il siciliano ai suoi figli.

Adelasia Luigia e Rocca Musciaro da una parte.

Adelaide Luisa e Sant'Angelo Muxaro dall'altra, al di qua dello specchio.