LeBron James è una stella del basket e tiene molto all'impegno per raggiungere gli obiettivi. I suoi due figli sono promesse del medesimo sport, ma il minore dei due, Dominic (Cedric Joe), ha un altro grande talento: la programmazione dei videogiochi. Infatti ne ha sviluppato uno tutto da solo, ottenendo anche un ottimo risultato: un gioco di pallacanestro che non assomiglia del tutto al basket vero, perché prevede mosse speciali esagerate e spettacolari. Il padre però lo ritiene una distrazione, ma nonostante tutto prova ad avvicinarsi agli interessi del figlio. Infatti coglie l'occasione per portare anche Dom a un incontro nientemeno che alla mitica Warner Bros., dove i dirigenti hanno intenzione di proporre al campione un contratto come testimonial in una nuova tecnologia immersiva videoludica. La scelta è ricaduta su LeBron James grazie a un'intelligenza artificiale sofisticata (Don Cheadle) che, come i migliori algoritmi informatici, intreccia informazioni per ottenere i migliori risultati. In questo specifico caso, avendo sviluppato anche un ego virtuale spropositato, pianifica un piano malefico per ottenere rispetto dagli esseri umani.
Come? Sembra che manchi qualcosa?
Ah, già. Non ho ancora menzionato i Looney Tunes, che dovrebbero essere i co-protagonisti della pellicola. Ecco. Non l'ho fatto perché fino a questo momento non se ne vede nemmeno l'ombra, se non qualche disegno stampigliato nel mondo reale. La prima mezz’ora circa di Space Jam – New Legends, infatti, scorre tra qualche palleggio, tiri a canestro e tante chiacchiere senza vedere mai un solo ciuffo di pelo o piume.
La malvagia intelligenza artificiale digitalizzerà nei server della Warner Bros., che contengono tutti, ma proprio tutti i mondi fantastici di sua proprietà, sia il popolare giocatore che il figlio Dom, mettendoli uno contro l'altro in una partita di pallacanestro. In questo modo sfida il campione rapportando i due differenti stili di gioco: da una parte l’esperienza con lo sport vero di LeBron, dall’altra le modalità del basket videoludico progettate dal figlio, in un match che porterà LeBron a conoscere veramente gli interessi di Dom e diventare un padre migliore. Tutto questo è possibile in un mondo virtuale, soprattutto se popolato dai Looney Tunes e, qualora non fosse chiaro, che comprende TUTTI i mondi di proprietà Warner Bros. Sembra che i produttori tenessero particolarmente a ribadirlo più o meno in ogni scena.
LeBron infatti accompagnerà Bugs Bunny attraverso questi mondi in cerca degli altri Looney Tunes per formare la squadra che giocherà la partita decisiva. Divertente vedere il giocatore dell’NBA diventare uno studente di Hogwarts, un ribelle in completo nero che recluta la nonna di Titti e Silvestro mentre hackera al PC come Trinity, cercare Taddeo vestito come il pelatissimo Dottor Male, sfuggire ai draghi del Trono di Spade, strappare dal pianoforte il baffo rosso intento a "Suonarla ancora, Sam" a Ingrid Bergman in bianco e nero e tante altre situazioni ancora.
Grazie alla regia di Malcolm D. Lee le scene sono tutte molto divertenti e ben contestualizzate, tuttavia non si capisce bene a chi si rivolga esattamente questo film. Difficilmente i bambini e ragazzini di oggi conoscono Matrix, Austin Powers o Casablanca, perciò questi e mille altri easter eggs sono sicuramente pensati per i genitori. Altri personaggi vengono reclutati nel mondo dei super eroi DC Comics, dove la colonna sonora farà fare qualche balzo agli appassionati e certamente il pubblico più giovane si troverà maggiormente a proprio agio, ma anche qui dubito che i bambini di oggi troverebbero esilarante quanto i grandi il leggendario Nananananananana Batmaaaaan!
Non compare nemmeno un'onomatopea in sovraimpressione. Inaudito!
Lo svolgimento è una enorme, chiassosa, coloratissima sequela di scene esagerate e sopra le righe in pieno stile slapstick dei Looney Tunes. E assicuro che tutto ciò che ho rivelato finora non è altro che la punta del'iceberg delle citazioni perché la partita vera e propria comincerà solo un'ora dopo l'inizio del film.
Trascinati quindi dalla corrente dell'ansia da prestazione ecco che senza un motivo vero e proprio vengono evocati come pubblico della partita tutti i personaggi possibili dell'immensa proprietà intellettuale Warner Bros., nel caso ci fosse sfuggito che possiedono molti ma moltissimi mondi immaginari. Andiamo dai Gremlins a King Kong, dal Gigante di ferro ai Pronipoti, e via così con così tanti personaggi a bordo campo che non si possono elencare. E, no. In Ready Player One la cosa aveva molto più senso.
Ah, tra il pubblico compare anche gente dal mondo reale che viene virtualizzata attraverso lo smartphone mente segue la partita online, tra questi un attore che si presta a un simpatico gioco di parole e Sonequa Martin-Green, che interpreta la moglie di LeBron.
Tutto da buttare, quindi?
No di certo. La storia racconta i temi cari al target al quale dovrebbe idealmente rivolgersi, anche se nel marasma generale non è del tutto chiaro: l'adolescenza. Capire i propri talenti e ottenere il giusto riconoscimento, soprattutto dalla propria famiglia. Inoltre una piccola parte della sfida passa anche in un match a suon di rap. Contrariamente a Casablanca questo dovrebbe intercettare meglio il gusto del pubblico ideale del film.
Sembra che i due super-avversari, LeBron e Don Cheadle, si siano divertiti moltissimo nell’interpretare i propri ruoli, con una disinvoltura e talvolta gioia che si percepisce.
Gli effetti speciali e l'animazione sia tradizionale che tridimensionale sono eccellenti e il design dei membri della squadra avversaria, i Goons, è originale, perché hanno preso le fattezze di altrettanti campioni del basket americano e, con l’espediente della digitalizzazione, hanno dato loro poteri molto caratterizzanti. In tutta onestà, se producessero veramente il videogioco con le meccaniche qui mostrate e i personaggi progettati apposta per il film, lo giocherei senz'altro.
Le peculiarità dei Looney Tunes e le scenette che li coinvolgono sono divertenti e sempre ben azzeccate nel contesto generale, ma tutto ciò si perde in un pastiche troppo lungo, arzigogolato e spesso didascalico. Ah, ogni tanto si gioca anche a basket e quando lo fanno le azioni sono di grande impatto. Peccato per lo Space nel titolo, del quale non ne ho rilevato alcuna traccia. A meno che non si riferisse allo Spazio virtuale. In quel caso è davvero, davvero vasto, come l'infinita proprietà intellettuale di Warner Bros., nel caso gli spettatori fossero così distratti da non essersene accorti.
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