Richard Williams vive insieme alla moglie e alle cinque figlie nel quartiere popolare di Compton, estrema periferia di Los Angeles, dove violenze e spaccio di stupefacenti sono all’ordine del giorno. Nonostante uno stile di vita non certo agiato e il contesto sociale difficile, Richard ha un piano per uscire da quella situazione, sa infatti di avere in casa due campionesse di tennis. Insieme alla moglie allena Venus e Serena fino a quando, dopo tanti rifiuti più o meno cortesi, riesce a intercettare il coach Paul Cohen che dopo averle viste giocare, decide di allenare gratis Venus. Ma, nonostante la bravura delle figlie che scalano ben presto le classifiche dei tornei juniores attirando l’attenzione dei primi sponsor, Richard sente di non aver ancora concluso il suo compito di genitore. Vuole che le figlie siano abbastanza forti e mature da non perdersi in un mondo in cui è facile bruciarsi troppo velocemente ma forse, proprio per questo, non è in grado di lasciarle vivere.
La biografia di Venus e Serena Williams sembrerebbe uscita direttamente da una sceneggiatura hollywoodiana se non fosse vera, perfetta incarnazione dell’american dream ossia della retorica che, se ci credi davvero, chiunque può realizzare il proprio sogno. E di obiettivi centrati nel loro caso si può ben parlare visto che in più di venti anni hanno vinto 121 tornei in singolare, 4 tornei di doppio misto diventando delle vere e proprie leggende del tennis. Su come siano riuscite ad ottenere questo risultato straordinario partendo da un ghetto losangelino, pare dipeso almeno in parte dal loro padre, in passato al centro di polemiche per aver impartito un’educazione a dir poco rigida. Ma come siano andate davvero le cose non interessa a Zach Baylin, sceneggiatore di Una famiglia vincente – King Richard, film che prende la vita delle Williams come la perfetta parabola più che come una storia vera.
Una famiglia vincente – King Richard è l’ennesimo film sportivo di riscatto, una sorta di Billy Elliot o Flashdance in chiave tennistica, si tratta di una pellicola non particolarmente originale ma senz’altro ben riuscita, con tutti i cliché e le svolte narrative messi nei punti giusti e dove il pubblico ride in sala, si commuove, gioisce per l’ascesa delle protagoniste e torna a casa soddisfatto. Will Smith fa il suo lavoro nei panni di Richard, ennesima variazione del buon padre di famiglia dallo sguardo ferito, che farebbe di tutto per le proprie figlie. La regia di Reinaldo Marcus Green è sempre chiara, senza fronzoli e misurata, tutta intesa a spiegare per bene la storia, mostrando più attenzione nei primi piani degli attori che alle poche scene sportive dove avrebbe potuto osare qualcosa di più.
Qual è allora il problema? Se fosse stata una storia inventata nessuno, se non la banalità dell’operazione. Il punto è però che si tratta di una vicenda vera, della quale si è scelleratamente ignorato l’aspetto più interessante che la rende unica. Il discorso razziale viene sempre tenuto a distanza, sullo sfondo, come una sorta di cornice che non interagisce mai davvero con i personaggi e che li influenza solo in modo superficiale. Ma Serena e Venus Williams sono state prima di tutto due donne afroamericane entrate a gamba tesa nel ricco mondo dei bianchi, imbattendosi nel razzismo che tutto ciò portava dietro. Sono state il mezzo per l’obbiettivo a dir poco delirante del loro padre, che le voleva campionesse prima della nascita, il cui fine ultimo era prendersi la propria rivincita sui bianchi. Tutto questo manca in Una famiglia vincente – King Richard che si limita a raccontare la solita favoletta di riscatto, buona per tutte le latitudini ed etnie, attenta solo a non calpestare i piedi a nessuno.
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